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Un’architettura coraggiosa

La Concattedrale di Lamezia Terme dedicata a San Benedetto, patrono d’Europa

testo a cura di Paolo Portoghesi

La strada che si è seguita nel progetto di Lamezia è quella di trovare soluzioni coraggiosamente innovative sul piano della architettura, rimanendo però fedeli all’insostituibile patrimonio di esperienze che rappresenta la tradizione della Chiesa, cercando di far scaturire le necessarie innovazioni dalla interpretazione di un passato che ha fatto della Chiesa Cattolica uno dei protagonisti della architettura occidentale.

Questo atteggiamento trova il suo sostegno in uno scritto di Romano Guardini, propugnatore della riforma liturgica poi sviluppata nel Concilio:

“La fede è coscienza di realtà soprannaturali. La fede è vita in un mondo di realtà invisibili. Abbiamo noi questa fede? Qui dobbiamo iniziare il rinnovamento. Non distruggere l’“invecchiato” e trovare il “nuovo”. Le grandi parole le grandi forme della Chiesa scaturiscono dalle profondità essenziali. Cosa mai deve essere qui mutato? Puoi forse modificare la forma della ruota o quella del martello? Esse corrispondono all’essenza.”

Il simbolo

Ogni parte della nuova chiesa, oltre che a soddisfare le esigenze del culto e offrire ai fedeli un ambiente degno e confortevole, tende a comunicare significati ricorrendo, oltre che al valore psicologico delle forme, al linguaggio dei simboli. La nozione di simbolo è stata cruciale nel dibattito filosofico del secolo ventesimo e ha visto due scuole di pensiero in contrasto sulla interpretazione del simbolo come segno o come qualcosa di diverso che ha una natura relazionale.

“Non è tanto il bisogno di riconquistare una mentalità simbolica a poter dare qualcosa di più alla fede e alla teologia, – ha scritto Tommaso Grillo – quanto piuttosto la mancanza di mentalità simbolica a sottrarre alla fede e alla teologia il solo terreno su cui esse possono consistere”.

Unificazione spirituale di tre comunità

Il nuovo complesso ecclesiale si propone, attraverso la sua collocazione, la sua dimensione e la emergenza territoriale dei due campanili, di rappresentare nel contesto paesaggistico, l’unificazione spirituale delle tre comunità, di Nicastro, Sambiase e Santa Eufemia, come compimento del processo amministrativo, avvenuto a partire dal 1968.

La chiesa non è però un edificio isolato ma si pone al centro di un complesso di corpi di fabbrica che ne rispecchiano la forma destinati ad ospitare diverse funzioni : la canonica, le due sagrestie, gli uffici parrocchiali, una biblioteca, il centro di coordinamento di un gruppo di altre parrocchie e una grande sala, la più vasta della città, destinata a manifestazioni religiose e culturali. Altri locali potranno ospitare la mensa della Charitas diocesana insieme ad altre iniziative assistenziali formando una sorta di Cittadella della Carità.

I porticati e il portale

Per esprimere accoglienza la nuova chiesa si protende in avanti con due porticati che accolgono chi si appresta ad entrare.
Il portale, al centro della facciata si presenta come un grande libro aperto, le pagine si innalzano come canne di un organo. La metafora del libro è stata scelta come omaggio al titolare della chiesa, san Benedetto da Norcia, patrono d’Europa.

La facciata

La facciata è plasmata in modo da continuare il moto abbracciante dei portici e include i campanili che si sviluppano in verticale per dare all’edificio il significato di porta della città celeste, aperta verso il cielo. La superficie della facciata è metallica, come la struttura interna che ha permesso di realizzare il suo sistema di illuminazione indiretta e la resistenza a possibili eventi sismici.

Come una nave

La connotazione della nave è evidente all’esterno quando si osserva la facciata entrando nel sagrato antistante ed è leggibile all’interno dopo il passaggio del nartece per le due pareti laterali curvilinee. Nel testo liturgico delle Costituzioni apostoliche si legge:

“Quando riunisci la Chiesa di Dio, sii vigile, come il pilota di una grande nave, affinché le riunioni si svolgano con ordine. Prescrivi ai diaconi, come a dei marinai, di indicare il loro posto ai fratelli come a dei passeggeri. Che la Chiesa sia rivolta verso l’Oriente, come si conviene a una nave… Che i portieri stiano all’ingresso degli uomini per custodirli e le diaconesse all’ingresso delle donne, come degli aiutanti”.

Nello scegliere la forma fondamentale della chiesa la principale intenzione è stata quella di rispondere alle esigenze della nuova liturgia con la centralità dell’altare, la disposizione concentrica dei banchi e dei gradini per i sacerdoti.

La luce

Il Vangelo ci ricorda cosa avvenne nel contesto della festa ebraica delle luci quando Gesù affermò:

“Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”.

Nella chiesa di Lamezia la luce entra dalla facciata interna, dai tre lucernai della volta e da una finestra nascosta che la cinge tutt’intorno come una corona luminosa. Questo tipo di illuminazione ha il compito architettonico di dare leggerezza alla copertura e di creare una netta distinzione tra la parte inferiore della chiesa con le pareti del colore della terra, e quella superiore candida che dilatandosi in altezza evoca il passaggio dalla città terrena alla Gerusalemme Celeste.

La rete

Le nervature incrociate della copertura simulano una rete disposta sullo sfondo del cielo. La rete è citata più volte nei Vangeli come simbolo di conversione e di giudizio. “Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi.”(Mt.13,47,48)

“Mentre camminava lungo il mare di Galilea, (Gesù) vide due fratelli, Simone chiamato Pietro e Andrea suo fratello che gettavano le reti in mare poiché erano pescatori. E disse loro:“Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”.

(Mt.4,18,19)

I cerchi concentrici

La rete di Lamezia nasce dall’intreccio di dodici nervature, quanti sono gli Apostoli e quante sono le porte della Gerusalemme Celeste descritta nell’Apocalisse. Le quattro nervature che partono dal centro delle pareti laterali rappresentano in virtù del loro intreccio finale i quattro evangelisti, Matteo, Luca, Marco e Giovanni.

I banchi dei fedeli formano, intorno all’altare, una serie di cerchi concentrici che diventano più ampi mano a mano che si allontanano. Questa forma rispecchia bene la duplicità e l’unità della comunità celebrante composta oltre che dai fedeli dal vescovo che ha la sua sede ben visibile e dai presbiteri che si allineano in tre gradini circolari dietro l’altare.

I banchi infatti non sono nati – come a volte si afferma – solo per soddisfare la necessità di fedeli deboli o malati, ma anche per rinsaldare i legami delle comunità. Basta osservare il ruolo che svolgono nelle piccole chiese dell’arco alpino, dove esprimono difesa, calore , raccoglimento , senso di appartenenza e di ordinata sequela.

Altare, Cappella e Tabernacolo

A destra dell’altare si colloca la cappella che ha nello stesso tempo la funzione di cappella feriale e quella di cappella dell’Adorazione. Per questo è stato collocato sulla soglia, rivolto all’altare centrale, il Tabernacolo Eucaristico che ha la forma di un grande Ostensorio, presso il quale si trova la lampada che segnala la presenza delle specie eucaristiche. Nella raggiera della copertura d’acciaio è implicito il simbolismo della conchiglia e della perla che alludono alla eternità e alla trascendenza.

Il quid

Concludo ricordando quello che Pier Luigi Nervi, mio indimenticabile maestro, ebbe a dire nel 1965 in un convegno ad Assisi dedicato all’architettura:

“il vero problema per chi costruisce una chiesa è riuscire a metterci quell’indefinibile quid che si trova in larga misura in molte chiese piccole e grandi del passato e ben raramente in quelle del nostro tempo; quel quid che adoperando la parola chiesa nei due significati, quello più usuale di edificio e quello di comunione spirituale dei fedeli, permette di far sì che la nuova chiesa costruita favorisca, o almeno non ostacoli, il fervore spirituale della Chiesa vera.”

La cappella battesimale è caratterizzata dal paesaggio del Giordano dipinto da Luigi Frappi e vuole nelle forme e nei materiali suggerire ai fedeli i due aspetti contrastanti del battesimo: l’essere sepolti con Cristo e il risorgere insieme a lui attraverso il potere dello Spirito Santo e dell’acqua benedetta.

Progettista: Prof. Arch. Paolo Portoghesi
Coordinamento: Arch. Giovanna Massobrio
Liturgista: Mons. Cosimo Damiano Fonseca
Collaboratori: Architetti Antonio Benedetti, Giuseppe Borzellieri, Franco Bucarelli, Andrea Di Franco, Pierluigi Pedicelli.
Strutture: Ing. Odine Manfroni

(https://www.chiesaoggi.com/emozioni-borrominiane/)

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