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Un nuovo complesso parrocchiale in armonia con il territorio

CHIESA DI MARIA SANTISSIMAMADRE DI DIO, CALENZANO – FIRENZE

L’idea di costruire è lontana nel tempo. L’attuale pieve, situata nel castello di Calenzano alto, non risponde più alle esigenze pastorali del territorio, che in questi anni si è molto sviluppato nella piana, dovevive e opera una moltitudine di persone. Dal 2009, anno in cui ho iniziato il ministero pastorale come parroco di San Niccolò a Calenzano, ho ricevuto il mandato del Cardinale Arcivescovo di Firenze S. Em. Giuseppe Betori, di portare avanti la missione della nuova costruzione. Mi sono messo all’opera, in collaborazione con l’Arcidiocesi di Firenze, la Conferenza Episcopale italiana, il Comune di Calenzano e la parrocchia. Il progetto che l’architetto prof. Fabrizio Rossi Prodi ha sapientemente ideato con i suoi collaboratori si armonizza bene sul territorio, nella nuova Calenzano. “La parrocchia”, afferma un documento dei vescovi italiani, “è la Chiesa che vive in mezzo alle case degli uomini”.

Attenti ai segni dei tempi, abbiamo cercato di cogliere questa necessità per Calenzano, che la parrocchia continuasse ancora ad essere “parà oikìa”, nel cuore della città, dove realmente abita la gente. Grazie al preziosissimo apporto degli esperti, con il contributo dei fondi CEl dell’8 per mille, la sollecitudine della diocesi e l’aiuto dei parrocchiani, il progetto è divenuto realtà. La nuova chiesa, dedicata a “Maria Santissima, Madre di Dio”, ha visto l’accordo di soggetti e tematiche sacro-liturgiche quali premesse al giusto concetto di “fare Chiesa” come necessaria titolarità alla “mens” e all'”actio” costruttiva. Ciò che i segni cercano di esprimere è forse proprio il carattere cattolico, cioè universale, di un edificio che prende nome, senso e prospettiva nel riferimento alla Gerusalemme celeste, già presente “in nuce” seppur non ancora realizzatae disvelata a pieno. Ora che l’opera è stata completata, tutto comincia a “vivere”. Sono grato a tutti: l’Arcidiocesi di Firenze, lo Studio di architettura, il Comune di Calenzano, la ditta Polistrade, gli amici, le tante persone semplici che con sacrificio hanno donato alla loro parrocchia per realizzare un’opera che rimarrà nel territorio per il culto e la vita pastorale e sociale di Calenzano. A cura di Don Paolo Cioni, parroco “

E così ho pensato che dovevo raccontare una leggerezza graziosa, semplice e accogliente, casta e misteriosa e ho pensato che dovevo raffigurare un velo – come quello di tanti dipinti – che si chiude su se stesso e crea una cavità, per accogliere il fedele nel suo cammino incerto e la comunità che si ritrova. Forse anche un manto che protegge…. E tutto doveva essere chiaro, bianco, mai violato, come l’Immacolata, come il giglio della purezza. Ma nessuna forma è visibile se non è colpita dalla luce, e per dipiù la luce ha un valore simbolico di rivelazione nella nostra fede e di annuncio di un cammino…” In queste parole dI Fabrizio Rossi Prodi affiora un’idea di spazio frutto della riflessione su alcuni dei temi più cari al culto mariano; quella grazia e quell’umiltà, spesso ricercate nelle rappresentazioni della Vergine Maria fino a divenirne profondi tratti iconografici, tornano ad informare la concezione di un’opera che tuttavia non è più pittorica o scultorea, bensì spazio, materia, luogo di vita. In questa migrazione di contenuti fra le arti e nel tempo è sì distinguibile un principio di progetto, ma è altrettanto evidente la volontà di riprendere un dialogo interrotto da decenni di atopia fra il culto e il proprio spazio liturgico, fra tradizione e contemporaneità.

E’ proprio nei termini del dialogo tanto con l’antico quanto con il moderno che l’architettura del nuovo complesso parrocchiale prende forma. Sito ai piedi dell’altura coronata dall’antico nucleo storico di Calenzano l’intervento è planimetricamente concepito come limite, o meglio come “soglia”; le funzioni richieste dall’Arcidiocesi di Firenze (Chiesa, Casa Canonica e Locali del MinisteroPastorale), sono tutte ospitate in un unico volume longilineo che si flette assecondando la curvatura della vicina strada. Al di sopra di questo volume basamentale alto due piani, compare un paesaggio iconico di oggetti stereometrici che rimanda direttamente all’immagine del nucleo storico della cittadina. Tuttavia, il nuovo complesso non è rivolto verso l’antico, non ne costituisce l’eco, tutt’altro, la curvatura del volume tende ad abbracciare proprio quella parte di città moderna ancora alla ricerca di una sua chiara identità. Ècosì che il vicino giardino pubblico entra a far parte del progetto, trova naturale prosecuzione nell’area di intervento, nel Sagrato e nella Facciata della Chiesa.

Insomma, spazi vuoti, volumi esistenti e di progetto si conformano e interagiscono fra loro nel tentativo di ricostituire un “limite” che sia segno urbano capace di dare “forma” ad un luogo e allo stesso tempo di definire spazi di vita collettiva. I volumi in copertura segnano marcatamente i luoghi fondamentali del complesso parrocchiale: l’Aula Liturgica, la Casa Canonica e il Salone Comunitario. Volumi semplici, facilmente identificabili, memori delle fabbriche religiose locali del primo Romanico, oggi si interrogano sul valore rappresentativo della forma. In corrispondenza della Chiesa, dal filo dei prospetti laterali, in sommità, si stacca una curva che
gradatamente definisce un volume semiellittico il cui vertice corrisponde alla parete est dell’Aula; nella Casa Canonica un sordo volume proietta verso l’alto la sua unica variazione: una cella campanaria; infine, nel Ministero Pastorale è l’estroflessione della copertura del Salone Comunitario a generare un volume chesi differenzia dal resto della composizione per la ruvidità delle superfici. La facciata generata da una compressione del piano verso l’interno della volumetria è segnata da un taglio centrale che la divide in due ali; in questo punto, in posizione arretrata rispetto al profilo curvilineo della superficie, trova spazio il grande portale di ingresso.

Si configura così una sorta di asse attrattivo che accoglie e invita i fedeli all’ingresso. Internamente è ancora il tema dell’accoglienza a informare lo spazio dell’Aula. Quel volume semiellittico posto in copertura entra nella scatola muraria definita dalla pianta rettangolare della Chiesa; questa intrusione genera due spazialità chiaramente distinguibili in sezione: in basso è lo spazio dei fedelii cui limiti sono chiaramente definiti dal perimetro del rettangolo di base, in alto è una spazialità dove la “misura” o meglio il rapporto con l’uomo, tende a perdersi nella continuità della superficie semiellittica.

Mentre il primo spazio, quello dei fedeli, è continuamente segnato dalle esigenze della liturgia, l’unica presenza distinguibile nel secondo spazio è quella del Crocifisso. Il rapporto fra l’Abside e l’Aula, usualmente espresso dall’addizione planimetrica di un volume absidale alla scatola muraria della chiesa, acquisisce una nuova dimensione verticale. Nella distanza che per geometria si crea fra le due spazialità, l’una generata dal rettangolo, l’altra dall’ellisse, è anche il ricordo delle navate laterali di percorsi deambulatoriali delle cappelle radiali e degli spazi che tradizionalmente si affacciavano sullo spazio principale dell’Aula. Molti sono i riferimenti che continuamente rimandano ad una tradizione reinterpretata alla luce della modernità, dalla paziente misurata opera di ricucitura di nuove e vecchie trame urbane al dettaglio della soluzione d’angolo della facciata che, come in molte fabbriche locali, afferma un certo grado di autonomia. Dai primi pensieri sullo spazio della fede il progetto è divenuto l’occasione per tornare ad interrogarsi sull’antico nel tentativo di dare nuova vita ad un presente distratto,per riqualificare un contesto nel ritorno alla condivisione dello spazio della città.

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