Mons. Paweł Malecha
l can. 1212 del Codice di Diritto Canonico tratta della perdita della dedicazione o della benedizione dei luoghi sacri, mentre la disposizione di cui al can. 1222 ha come oggetto la riduzione di una chiesa a uso profano non sordido.
Il prescritto del primo canone (1212) è generale, perché si riferisce a tutti i luoghi sacri, al contrario di quello del secondo (1222), che è specifico, in quanto riguarda soltanto una specie di essi, ossia le chiese.
Nonostante ciò, i menzionati canoni, a prima vista, sembrano molto simili e – come pare – soprattutto per questo motivo si verificano errori, sviste e imprecisioni nella prassi circa la loro retta interpretazione e applicazione.
Di conseguenza, nell’esercizio della potestà esecutiva vengono talvolta emessi decreti che confondono la perdita della dedicazione/benedizione con la riduzione di una chiesa a uso profano non sordido, e ciò purtroppo succede ultimamente sempre più frequentemente.
Infatti, di tanto in tanto l’autorità ecclesiastica, al fine di dismettere (nel linguaggio comune: sconsacrare) una chiesa, anziché rilasciare il decreto della sua riduzione a uso profano, si limita soltanto alla solenne celebrazione del rito liturgico, con il quale viene revocata la dedicazione/benedizione della chiesa.
Ed è così, perché in certe circostanze i Vescovi diocesani ritengono, spesso erroneamente consigliati dai cultori di diritto canonico, che tale celebrazione liturgica sia sufficiente per la dismissione di una chiesa.
Come se non bastasse, la revoca della dedicazione/benedizione non soltanto viene officiata in modo molto solenne, ma suscita anche – di frequente – forti emozioni tra i fedeli; difatti, alla conclusione della celebrazione vengono spente le candele e l’illuminazione, viene esportato pomposamente il Santissimo Sacramento, si chiudono simbolicamente le porte della chiesa, ecc. In tal modo, i fedeli rimangono molto commossi e non di rado convinti anche che la chiesa sia stata legittimamente dismessa.
Ciò nondimeno, la loro convinzione, qualora prescinda da motivi giuridici, è soltanto soggettiva e non oggettiva, perché basata su una valutazione che racchiude un giudizio fondato esclusivamente su idee e sentimenti personali.
Comunque sia, la revoca della dedicazione/benedizione di una chiesa (can. 1212) consiste solamente nel rito liturgico e non nell’atto giuridico come, al contrario, succede nel caso della riduzione di una chiesa a uso profano (can. 1222).
Gli effetti, quindi, di questi due istituti giuridici sono molto differenti: la dedicazione/benedizione non è l’atto giuridico e perciò non riduce canonicamente una chiesa a uso profano, mentre la riduzione di una chiesa a uso profano è l’atto giuridico che canonicamente rende efficace la decisione del Vescovo diocesano circa la dismissione.
Il tentativo di ridurre una chiesa a uso profano per il tramite della revoca della dedicazione/benedizione avviene di solito per errore, ma non è escluso anche l’abuso in fraudem legis. Tale abuso potrebbe sorgere quando l’autorità ecclesiastica, allo scopo di evitare l’impegnativa procedura e la verifica dell’esistenza o meno delle cause gravi, di cui al can. 1222, avesse scelto la revoca della dedicazione/benedizione per dismettere una chiesa, in quanto molto più semplice da eseguire.
Le conseguenze, tuttavia, di dismettere una chiesa mediante la revoca della dedicazione/benedizione possono essere molto rilevanti.
In primo luogo, va ribadito che tale revoca non riduce giuridicamente una chiesa a uso profano. Pertanto, l’edificio rimane canonicamente chiesa e per dismetterla sarà necessario il decreto del Vescovo diocesano, emesso a norma del can. 1222.
Va inoltre notato che la revoca della dedicazione/benedizione è un provvedimento dichiarativo, invece l’eventuale decreto di riduzione di una chiesa a uso profano ha natura costitutiva.
In secondo luogo, va rilevato che l’eventuale alienazione di questa chiesa – come ho scritto nel numero precedente di Chiesa Oggi – è da ritenersi invalida per il diritto canonico e annullabile, almeno in Italia, per il diritto civile, perché priva delle necessarie formalità canoniche.
Infine, a norma del nuovo can. 1376, § 1, n. 2, promulgato con la Costituzione Apostolica Pascite gregem Dei del 23 maggio 2021, con la quale papa Francesco ha riformato il Libro VI del Codice di Diritto Canonico, è da punire «chi senza la prescritta consultazione, consenso o licenza, oppure senza un altro requisito imposto dal diritto per la validità o per la liceità, aliena beni ecclesiastici o esegue su di essi un atto di amministrazione».