Don Luca Franceschini, Direttore Ufficio Nazionale
per i Beni Culturali e l’Edilizia di Culto della CEI
Tra gli elementi architettonici che maggiormente caratterizzano gli edifici di culto storici, oltre agli altari posti sia al centro che nelle innumerevoli cappelle del transetto e ai lati della navata, con le loro pale, colonne, angeli e frontoni lignei o marmorei, ed oltre agli affreschi che spesso decorano pareti e soffitti narrando la Storia della salvezza, abbiamo gli organi a canne.
Spesso collocati in casse lignee finemente intarsiate e decorate nonché su cantorie di altrettanto pregio artistico, gli organi spiccano per i riflessi di luce sulle loro canne metalliche di facciata. La facciata (o “mostra”) dice già una prima informazione sullo strumento. Gli organi più antichi hanno facciate suddivise in campate con in alto, a riempire gli spazi lasciati vuoti dal diminuire delle dimensioni delle canne, degli “organetti morti” composti da canne della stessa forma e identico materiale, ma posti a decorazione senza il compito di dover suonare.
Più tardi gli organetti morti lasceranno il posto a decorazioni lignee traforate mentre le campate, via via, saranno sostituite da un’unica mostra di canne. Al centro la più grande con le altre che discendono a destra e a sinistra talvolta andando sempre a diminuire, altre volte risalendo per poi scendere di nuovo creando due ali all’unica facciata. Gli organi più grandi possono avere una canna centrale di 16 piedi (solo raramente in Italia si trovano canne di 32; la lunghezza delle canne si misura in piedi considerando la canna del DO più grave determinata della distanza tra la “bocca” e la cuspide; non si misura dunque la parte conica sottostante che non produce suono ma semplicemente porta l’aria dallo strumento -dal somiere per esser precisi- alla bocca della canna stessa) oppure di 8’; negli strumenti più antichi, le cui tastiere iniziavano dal FA, la facciata può essere su una base di 24 o di 12 piedi.
Le canne formano un fluttuante disegno talvolta procedendo con la loro lunghezza in parallelo con l’andare delle “bocche” oppure muovendosi al contrario di queste. In alcuni casi le “bocche” sono tutte allineate; anch’esse si distinguono tratteggiando un disegno con le loro forme talvolta a “mitria” in altri casi a “scudo”. Il barocco ha poi arricchito la cassa con ulteriori decorazioni, colonne tortili, angeli musicanti, strumenti musicali, simboli sacri, volute e intagli.
Stiamo parlando, insomma, di un’architettura dentro l’architettura, tanto più evidente quanto più si passa dai piccoli strumenti addirittura portatili -questi meno interessanti dal punto di vista architettonico- ai monumentali organi delle cattedrali. Nelle grandi chiese già il medioevo ha regalato strumenti molteplici, talvolta contrapposti e dialoganti tra loro nella navata o nel transetto e oggi spesso unificati in un’unica architettura fonica e armonica.
L’osservatore inesperto si ferma a osservare la facciata dello strumento senza sapere che questa nasconde una macchina estremamente complessa e parti innumerevoli, a partire proprio dalle canne delle quali la “facciata” è un minimo assaggio. Dalle 500 canne di un organo piccolo si passa all’ordine delle migliaia nella maggioranza degli strumenti fino ad arrivare a oltre 8.000 per quelli più grandi e perfino a (quasi) 16.000 per i grandi strumenti delle Cattedrali di Milano e Messina che in Italia si contendono il primato per grandezza.
Le canne sono una parte importante dello strumento poiché emettono suoni diversi a seconda della forma, del materiale, della quantità di aria che ricevono, ecc. Alcune sono di legno, altre di metallo; alcune lunghe diversi metri, altre della grandezza di una matita, esse producono suoni delicati o stentorei, acutissimi o gravi coprendo tutte le frequenze udibili dall’orecchio umano. Ma le canne sono solo, come dicevo, una parte dello strumento. Ci vuole un grande insieme di apparecchiature per produrre l’aria e distribuirla alla giusta pressione alle canne; ci vuole una grande macchina per consentire di trasferire dalla consolle i comandi dell’organista affinché escano i suoni, si mescolino le voci, si attivino o si tacitino le file di canne coinvolte nell’esecuzione.
Ed ecco le differenti postazioni per l’organista ora inserite in una finestra all’interno dello strumento e della sua cassa, ora lontane perché l’organista possa stare accanto al coro o governare più corpi d’organo. Le prime negli organi storici italiani sono consolle con un’unica tastiera con accanto i pomelli o le “manette” per la scelta e l’inserimento dei vari “registri”. I comandi, però, possono crescere negli organi più grandi, le tastiere aumentare da una fino a tre o addirittura cinque, la pedaliera crescere da una semplice ottava di note fino ad arrivare ad un ventaglio di oltre 30 pedali che, con i piedi, si suonano contemporaneamente ai tasti manuali dando all’organista un’infinita possibilità di suoni e armonie. Dalla consolle i comandi come arrivano a far suonare le canne? Anche in questo caso abbiamo molteplicità di modi che vanno da un movimento della “macchina” totalmente meccanico a modalità completamente elettriche o addirittura elettroniche, oppure miste, nonché con l’uso dall’aria prodotta dai mantici per muovere meccanismi resi così meno pesanti e faticosi per l’organista. Questo sistema, detto pneumatico, è certamente il meno usato e il più difficile da mantenere nel tempo. Fu tuttavia utilizzato per consentire la creazione di strumenti più grandi senza che le possenti dimensioni e la complessità della macchina rendesse i tasti ed i comandi troppo “duri” per essere agilmente mossi dall’organista.
Quale complessità e diversità, dunque, quando parliamo di un organo considerando che, se ve ne sono di molto simili a motivo di scuole, fabbriche e gusti di certi periodi e luoghi (un organo tedesco, ad esempio, è ben diverso da un organo italiano se pure prodotti nello stesso periodo storico) non se ne trovano due uguali, poiché ciascun strumento è stato o viene realizzato su uno specifico progetto per un determinato committente, un determinato edificio, determinate esigenze. Lo si realizza dunque su misura e su singola commissione creando un unicum di straordinario valore artistico, architettonico, musicale e di artigianato.
Le implicazioni tra l’”architettura” dell’organo e l’architettura dell’edificio che lo contiene sono molteplici.
Per i nuovi edifici, purtroppo, anche per motivi economici, spesso non si prevede la collocazione di un nuovo organo precludendo per tutta la vita dell’edificio stesso la possibilità di una collocazione ottimale per lo strumento. Essa, infatti, va pensata nel momento della costruzione valutando le problematiche liturgiche nonché acustiche, l’eventuale dimensionamento sia per una questione strutturale (un organo grande peserà diverse tonnellate) sia, soprattutto per l’impatto fonico ritenuto necessario. Per l’architetto sarà anche interessante ipotizzare l’aspetto che lo strumento potrà avere affinché si armonizzi con il resto dell’opera.
Ovviamente in una chiesa possono essere ipotizzate diverse tipologie di strumento andando da una soluzione minimale per il solo accompagnamento dei canti ad altre, più complesse e costose, per consentire all’organista di eseguire nei vari momenti della liturgia brani musicali idonei a trasmettere e favorire il raccoglimento, il clima meditativo, l’adorazione o il senso di festa. L’organo potrà essere costruito anche in base ai gusti musicali della comunità o del committente preferendo uno strumento che (fermo restando le esigenze liturgiche che restano prioritarie) consenta l’esecuzione della musica di Bach oppure di quella romantica o altri stili ancora. Se alcune scelte verranno fatte nel momento della commissione e progettazione dell’organo, alcune andrebbero pensate prima e indicate al progettista perché nella realizzazione dell’edificio se ne tenga conto.
Un’altra importante implicazione, oltre che con l’architettura, è con l’impiantistica, in particolare con l’amplificazione prevista nell’edificio. Sarà infatti molto opportuno che si preveda di evitare che gli impianti di amplificazione della voce vadano a captare ed amplificare anche l’organo con conseguenti effetti ordinariamente insopportabili. L’organo infatti è pensato -e tarato- perché il suo suono sia sufficiente ad accompagnare l’assemblea così come ad essere udito da tutti; il suo ingresso nell’amplificazione devasta completamente l’effetto acustico e deve, dunque, essere evitato.
L’interazione dello strumento con l’acustica dell’edificio e, conseguentemente, tutto ciò che riguarda la sua collocazione, progettazione e intonazione è dunque di primaria importanza e delicatezza, sia nel caso che si voglia inserire un nuovo organo all’interno di un edificio esistente, sia che si progetti un nuovo edificio dove si ipotizza possa essere inserito un organo. Le implicazioni foniche ed acustiche dell’organo sono estremamente più complesse rispetto a quelle necessarie per gestire il diffondersi della voce umana sia per la già descritta varietà di frequenze sia, soprattutto, per gli effetti armonici dei suoni che entrano in gioco.
In particolare, di questo argomento, organi a canne e acustica delle chiese, parleremo nel convegno che si terrà a Genova nei giorni 9-11 giugno del 2025 considerando l’importanza che riveste sia come tema legato ai beni culturali ecclesiastici, sia come argomento per l’edilizia di culto.