Parlando di quanto è successo nelle Marche dopo il terremoto del 2016 ad un pubblico molto ampio, credo si debba fornire alcuni dati di base.
L’area colpita, che comprende circa 87 comuni, è tutta ricompresa all’interno dei Monti Sibilini.
L’emergenza generata dal terremoto del 2016 ci ha posto di fronte alla fragilità del territorio interno. Fragilità di natura economica e sociale e fragilità dell’edificato antico, che si è sbriciolato malgrado la cura avuta dopo anni di recuperi anche a seguito di altri terremoti, specialmente quello del 1997. Il tes- suto sociale che ha generato e vivificato questi luoghi si sta spegnendo. I comuni dell’area montana sono mediamente molto piccoli: dai 281 abitanti di Castelsantangelo sul Nera ai quasi 7.000 di Camerino. La dimensione territoriale varia dagli 8,83 kmq di Camporotondo (598 ab.) ai 138 kmq di Acquasanta. La popolazione si è drasticamente ridotta negli anni, un indicatore abbastanza significativo per comprendere la demografia della zona montuosa è la densità della popolazione media dell’Arcidiocesi di Camerino, che comprende 34 comuni: 37 ab/kmq, molto modesto, se comparato alla media della regione di 165 ab/kmq, mentre la media della Provincia di Macerata, in cui Camerino è compresa, è di 115 ab/kmq, segno che la maggioranza della popolazione è concentrata nella fascia medio collinare e costiera.
Questo territorio è da sempre abitato: ogni abitato custodisce il proprio tesoro d’arte e di cultura. Accanto alle cose c’è anche un retaggio di tradizioni e di culture, anch’esse provenienti dalla montagna e dalle contaminazioni dovute al passaggio di genti diverse. La Sibilla, una per tutte, veggente e profetessa nel mondo antico, diventa fata e regina di un regno mitico.
Siamo oggi nelle condizioni di dovere riprendere e ripensare questa fitta rete di presenze, è l’ora e l’occasione questa per approfondirne nuovamente il valore e la dimensione, per riproporla in modo ancora più evidente e consapevole, con il desiderio di non lasciare indietro nulla, perché qualunque cosa perderemo sarà una sconfitta.
Il nostro compito oggi è quello di lavorare per restaurare quell’intimo rapporto che c’è tra ogni opera e il suo luogo, tra essa e il contesto in cui sorge, per esaltare di nuovo quel paesaggio che tanto aveva incantato A. C. Quatremer de Quincy che con tanta passione lo aveva definito come “museo a cielo aperto” e per primo aveva compreso l’intimo rapporto che lega ogni opera d’arte al suo territorio.
Molti sindaci scrivono di volere ripartire dal patrimonio, ebbene, ripartire dal patrimonio significa proprio questo: ricostruire quei contesti, quei percorsi, quei paesaggi all’interno dei quali il patrimonio di arte, fede e cultura si è creato, si è sedimentato ed è stato conservato fino ad oggi.
Dove non si potrà restaurare, si potrà e si dovrà integrare con un linguaggio contemporaneo compatibile, con progetti di qualità che siano frutto dell’ascolto e della comprensione dei luoghi. Il contrappunto che si genera nel rapporto tra l’antico e l’arte di oggi esalta entrambi e consente di apprezzare la qualità di ciascuno. Penso ai portali perduti, alle decorazioni, ma anche agli altari, ai ceri o ai sedili, alle cornici delle finestre, anche dove non ci sono mai state, ai pavimenti. Saranno il segno della cura e dell’affetto per questi luoghi e per il loro patrimonio. Dove, se e quando avremo paura di riportare al loro posto le opere che sono state messe in salvo, ne potremo creare di nuove, scelte con la stessa sapienza di chi ce le ha tramandate.
Dobbiamo mantenere l’approccio lento che rifugge dal consumo contemporaneo, rarefatto, meditativo e profondo che da sempre ha caratterizzato i Sibillini. Apprezzare il silenzio e la forza e la dinamicità quando ci sono. Sarà necessario individuare delle priorità, delle centralità, ma non per questo dovremo pensare di lasciare indietro qualcosa. Le centralità che si individueranno e in parte sono già state individuate, avranno proprio il compito di costituire il puntello per far ripartire anche i centri limitrofi. Le ordinanze del commissario straordinario n. 23 e n. 32 hanno individuato circa 170 beni diffusi su un territorio molto vasto, che è possibile rendere nuovamente fruibili con interventi di piccola entità e preparano il terreno per il primo stralcio della ricostruzione che individua 54 monumenti strategici sui quali verranno investiti 84 milioni di euro. Serviranno a riaprire il cuore di molte città, a renderle nuovamente vivibili, a riaprire i musei e le collezioni d’arte, a riportare abitanti e visitatori, a ricreare interesse, fiducia, economia.
Accanto alle cose si dovranno ripensare e valorizzare anche i saperi che hanno arricchito queste zone con produzioni di qualità: dal cibo al vino, dalla ceramica alla carta, ai tessuti, all’artigianato in generale, che nei lunghi secoli di autarchia e autonomia si sono sviluppati in ogni famiglia e in ogni comunità. Sfruttando l’anno del patrimonio culturale tenteremo di offrire un occhio presso la nostra sede di Ancona che possa costituire un osservatorio su quanto è stato fatto, si fa e si sta progettando di fare.
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