Dedicati a Padre Giacomo Grasso
Tra le molte curiosità che affastellano i nostri pensieri ve ne è una che si rincorre fin dall’infanzia, l’idea di poter identificare velocemente il santo osservato nelle numerose chiese da noi visitate a partire da alcuni dettagli o elementi fortemente caratterizzanti.
Recentemente una visita in Portogallo nel grande complesso di Mafra ha risvegliato tale interesse destato dalle innumerevoli sculture dedicate ai santi ospitati nell’intero impianto. Tale sommatoria la riscontriamo pure in altri siti e ovviamente in San Pietro, ma forse più dispersiva, vista la grandezza della basilica e del suo colonnato berniniano.
Al ritorno dal viaggio schizzai sul taccuino alcune figure che vengono qui riprodotte con l’idea di un progetto che potesse prevedere la costruzione di un viale dedicato ai santi della chiesa riproposti e reinterpretati alla luce di una rinnovata iconologia.
Si è trattato di applicare una ricognizione memorista a ciò che persiste nel nostro ricordo e che ci fa identificare con una certa precisione, o approssimazione se vogliamo, la figura in questione.
Pertanto le icone sono sottoposte ad un vaglio immaginativo che consente di individuare il santo o la santa rappresentata spesso servendoci di alcuni oggetti che li accompagnano: la ruota dentata per Santa Caterina; Il drago per San Giorgio; la pianta della certosa per San Bruno; la colonna per San Simeone stilita…
Altre volte è lo stesso santo che si misura con sé stesso: ecco che San Lorenzo diviene graticola quadrangolare identificandosi con lo stesso oggetto della tortura; per Santa Lucia bastano gli occhi; per San Pietro da Verona la sciabola in testa; per San Sebastiano le frecce conficcate…
Le sculture proposte prevedono la loro collocazione lungo un viale, come dicevamo, e come ne troviamo molti nei pressi dei monasteri sparsi per la penisola, ma persino una via urbana potrebbe ospitarli, come testimoni provenienti da lontano o pellegrini irrigiditi in una forma scultorea che adopera il principio dell’estrusione che tanto caratterizza il contemporaneo.
In una conversazione che risale al 1997 Padre Giacomo Grasso, da noi invitato all’allora Facoltà di Architettura di Reggio Calabria, ci ha parlato del perché costruire, edificare chiese, entro un panorama teologico che ha come sottofondo una certa secolarizzazione riferita ai “segni dei tempi” ed una visone-revisione della teologia cristiana che non ha mai costruito una “teologia del sacro”, ma piuttosto una “teologia del santo”.
Il cardinale Martini nel suo “Mistero indicibile”, a proposito di un’architettura che traduce la teologia e l’ecclesiologia di un’epoca, ci ricorda il valore del respiro, non solo spirituale, bensì materiale delle chiese, della necessità del colore, potremmo aggiungere del calore.
Le chiese della mia infanzia e nella mia peregrinazione le raffiguro come opere complete, sensiste, capaci cioè di agire sui sensi nei suoi momenti celebranti, con gli odori degli incensi, con i fotogrammi filmici delle vetrate medioevali, con l’austerità romanica e con l’intemperanza barocca.
In tale contesto le sculture hanno rappresentato il necessario completamento. In un esercizio compositivo avrei persino sottratto le sculture alla rotonda palladiana per verificarne l’impoverimento complessivo.
Le sculture dei santi qui proposte, si avvicinano alla Teologia del santo, rispondono non solo ad una necessità personale portata a comprendere le arti nel loro complesso, ma spirano a far rileggere il patrimonio scultoreo legato alla chiesa come necessario.
Marcello Sèstito