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La “Santa” Impresa

Nello sterminato panorama di beni immobili, dismessi, sottoutilizzati, sfitti, incompleti o in rovina ci sono anche i beni ecclesiastici. Questo patrimonio non assume solo la forma dei luoghi di culto tradizionali (66.929 Chiese frammentate nelle 217 Diocesi italiane(1)), ma anche sedi parrocchiali, case generalizie, istituti religiosi, missioni, monasteri, case di riposo, seminari, ospedali, conventi, opere di carità, comunità per minori, asili, scuole, università, fabbricati sedi di alberghi e strutture di ospitalità per turisti e pellegrini ed abitazioni civili in affitto.

Il patrimonio immobiliare ecclesiastico, secondo la giurisprudenza italiana, è l’insieme delle proprietà immobiliari degli enti ecclesiastici Civilmente Riconosciuti (eeCR) dallo Stato italiano. Si tratta di un segmento immobiliare molto ampio e diversificato suddiviso tra quasi 30.000 proprietari di cui non si dispone un censimento complessivo (il totale enti ecclesiastici civilmente riconosciuti al 31.12.2015 era di 29.932 di cui 26.100 parrocchie; chiese; santuari e basiliche, e 3.832 tra istituti religiosi; società di vita apostolica; associazioni di fedeli; fondazioni; istituti per il sostentamento del clero. Dati forniti dal Ministero degli interni (2)).
Altri dati significativi ci dicono che in Italia, in 40 anni, sacerdoti e religiosi sono diminuiti complessivamente del 40%, passando da 216.184 nel 1975 a 129.349 nel 2015. (…).
Inoltre sempre nello stesso periodo sono stati dismessi oltre 86.000 posti letto presenti in immobili che oggi sono o inutilizzati (canoniche o conventi vuoti), o sotto utilizzati o alienati. I dati pubblicati negli annuari USMi (Unione Superiore Maggiori d’Italia) e nelle diverse annate dell’Annuarium Statisticum ecclesiae ci forniscono informazioni relative a scuole e convitti cattolici presenti in Italia: nel 1950 erano 19.639 e sono passati a 7.232 nel 2015, con una differenza di 12.407 scuole chiuse in 65 anni con un decremento pari al 63% (3).

Valorizzazione a difesa dei beni di culto dismessi

Il fenomeno subisce poi – paradossalmente – ulteriore incremento per gli effetti di lasciti e donazioni dei fedeli (circa 10mila testamenti l’anno, solo a Roma (4)). Quanto valore perso o minacciato da questo processo? Quante occasioni sfumate in termini di lavoro, speranza, futuro? Quale perdita di senso, di memoria, di cultura nella progressiva scomparsa di frammenti della nostra storia di comunità, di fedi, di relazioni tra persone, tra storie di vita e di lavoro?

Tenuto conto di tutte le conseguenze che da una siffatta situazione si stanno generando tra problemi e opportunità, non si è fatta attendere una risposta organica e strutturata sul tema. Nei giorni 29-30 novembre 2018 si è tenuto a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana, il Convegno internazionale “Dio non abita più qui?“, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura (Dipartimento per i Beni Culturali della Chiesa), dalla Conferenza Episcopale Italiana (Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto) e dalla Pontificia Università Gregoriana (Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa —Dipartimento Beni Culturali della Chiesa). Dall’evento è risultato approvato il documento dal titolo “La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese. Linee guida.” Un indirizzo destinato a vivacizzare un quadro sociale dove da un lato si preme per una valorizzazione a difesa dei beni di culto dismessi, mentre dall’altro la comunità clericale appare in difficoltà nel gestire i processi di riuso, anche quando possono sorgere nuove opportunità con le istituzioni laiche (5).

Il processo di trasformazione

Nei principi dell’Enciclica “Laudato Sì”̀ di Papa Francesco sulla cura della “casa comune” vi è il senso del lavoro del lavoro di valorizzazione di questo patrimonio, a fini sociali, culturali e a favore delle nuove generazioni. Riusarne infatti anche solo una minima parte permetterebbe la nascita (o rinascita) di luoghi con significati forti in termini di identità, partecipazione, condivisone, inclusione a livello locale.

In questi processi di trasformazione, diventa quindi fondamentale il coinvolgimento sociale: le chiese si dimostrano un tipo edilizio che per storia, tradizione e affezione popolare presuppone e favorisce relazionalità tanto nel suo sorgere quanto soprattutto nel suo “divenire”. La grande opportunità è allora quella di trasformare questi spazi in “luoghi di comunità”̀, in “beni comuni” dove diventa interessante innescare sperimentazioni che producano impatto sociale, culturale ed occupazionale, soprattutto a favore delle giovani generazioni, in modo che valori della Chiesa (6) siano in grado di armonizzarsi con la contemporaneità. Da questo punto di vista, gli Oratori da sempre sono “imprese sociali e culturali di animazione di comunità locali”. Si pensi, da Dopo guerra in poi, quanto volontariato hanno saputo attirare, quanta partecipazione, accoglienza e carità “produrre”. Ma anche il livello di fruizione culturale valoriale hanno permesso con teatri, cinema e radio parrocchiali, libri e riviste, incontri e raduni.

Riuscire a rendere più contemporanee queste funzioni base, impegnarsi per nuove fruizioni sulla base dei valori caratterizzanti la Chiesa, potrebbe portare ad attirare e coinvolgere nuovi pubblici, ma anche contribuire a creare occupabilità giovanile, inventando nuovi lavori e professioni, da svolgere con impegno e passione.

Si tratta così di dare corso a nuovi meccanismi di creazione di valore e spirito imprenditoriale dove il mix di ingredienti di base risulterebbe da:
1) capacità di trasformare i beni abbandonati in un centro di interesse per il territorio, anche in modo graduale;
2) realizzazione di progetti sostenibili dal punto di vista culturale e sociale, che rispondano ad un effettivo bisogno di sviluppo dell’identità e dell’economia locale;
3) generazione di impatti efficaci e positivi;
4) sviluppo di nuove reti di relazioni anche verso l’esterno, forme inedite di collaborazione, attenzione e cura del bene, crescita dell’esperienza della Comunità, attrazione e produzione di fenomeni culturali, sociali ed economici.

La formula di impresa

Si capovolge la prospettiva: il valore di un bene pubblico non è il suo valore economico o la sua conoscibilità, ma la restituzione di un valore d’uso contemporaneo alla comunità (7). Dal punto di vista della “formula” di impresa, ci deve essere una capacità di ricerca di fonti di finanziamento con un mix di risorse a fondo perduto, crowdfunding, capitale proprio e, magari, della Chiesa stessa con un fondo prestito ad hoc.

Il ristorante nell’ex Oratorio di San Rocco a Tortona

Tra le prime esperienze che segnano il potenziale trasformativo del patrimonio ecclesiastico vi sono vari casi di successo. Tra questi se ne segnalano alcuni: Ad Asti, l’ex Chiesa di San Giuseppe, oggi è Spaziokor, teatro, residenza artistica e museo della scenotecnica. Il Comune e un team di giovani esperti ne hanno permesso il riuso: acustica perfetta, palco sul pavimento e pubblico sulle pedane, sfruttando la verticalità (www.spaziokor.it).

A Tortona, Anna Ghisolfi nell’ex Oratorio di San Rocco ha realizzato un ristorante di pregio per la valorizzazione dei prodotti locali (www.annaghisolfi.it). Al Santuario di Vicoforte (Cuneo), Kalatà (impresa culturale giovanile), ha messo in sicurezza la salita nella cupola ellittica più grande al mondo, per un’“esperienza dentro la bellezza” del barocco (www.magnificat-italia.com).
A Napoli, le ex catacombe abbandonate rinascono grazie all’iniziativa di un gruppo di giovani. E’ successo a Rione Sanità dove la cooperativa La Paranza ha innescato una “rivoluzione umana”: 100.000 visitatori nel 2017 (dai 5 mila del primo anno), 32 operatori culturali (dai 5 iniziali), 600.000 euro di fatturato ed un “contagio” ad altre strutture sottoutilizzate (ex canonica Sanità, oggi bed and breakfast con tre addetti) e San Nicola da Tolentino. Qui il racconto dei fondatori: www.catacombedinapoli.it .

La ex Chiesa di San Giuseppe ad Asti, oggi diventato teatro e spazio artistico

Riusiamo l’Italia

“Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start up culturali e sociali” è il libro pubblicato dal Gruppo 24 ore scritto da Giovanni Campagnoli con post-fazione di Roberto Tognetti. È un “road book” che parte da una ricerca sulle buone pratiche di riuso creativo degli spazi. Tema attuale, in quanto oggi l’Italia è “piena di spazi vuoti” e riuscire a riusarne anche solo una minima parte, affidandoli a delle start up culturali e sociali, può diventare una leva a basso costo per favorire l’occupabilità giovanile. Il sito www.riusiamolitalia.it e la pagina https://www.facebook.com/Riusiamolitalia e la piattaforma http://mappa.riusiamolitalia.it/ costituiscono gli strumenti per supportare l’innovazione sociale, culturale economica facendo incontrare la domanda e l’offerta di spazi da riusare.

Giovanni Campagnoli e Roberto Tognetti

Giovanni Campagnoli, lavora in Hangar Piemonte, il programma di sostegno all’innovazione culturale della Regione. Preside e docente di economia dai Salesiani, bocconiano e autore di “Riusiamo l’Italia” (Gruppo 24 Ore), si occupa sempre di più di progetti di trasformazione/valorizzazione di spazi vuoti, in luoghi “non convenzionali” di incubazione di start up giovanili innovative, a vocazione creativa, sociale, culturale. E’ anche direttore della Rete informativa Politichegiovanili.it e su questi temi opera anche come consulente e formatore per Enti pubblici e organizzazioni no profit.


Roberto Tognetti, Si laurea con lode presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano nel 1986 con Franca Helg. Nel 1987 segue il corso di specializzazione in ‘Museografia e Museologia’. Nel periodo 1987-1988 ha insegnato presso il Dipartimento di Architettura d’Interni dell’Istituto Europeo del Design di Milano. Tra i suoi lavori la casa dello scrittore Sebastiano Vassalli nella pianura novarese e innumerevoli progetti di sviluppo locale nei territori di varie regioni italiane. Nel 2008 fonda il network “iperPIANO Ecosistema di soluzioni e innovazioni per il governo del territorio e della città”. Dal 2010 è presidente del Comitato d’Amore per Casa Bossi, che intorno al monumento antonelliano “Casa Bossi” di Novara ha promosso una delle più originali operazioni di rigenerazione di un edificio storico da parte di un gruppo di cittadini attivi. È co-autore con Giovanni Campagnoli del libro “Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start up culturali e sociali” edito nel 2014 da Gruppo 24 Ore.

Note

1 – www.chieseitaliane.chiesacattolica.it.
2 – Francesca Giani, La valorizzazione a fini sociali del patrimonio immobiliare ecclesia- stico: un processo di economia circolare, in: Colloqui.AT.e 2018, Edilizia Circolare, a cura di Fausto Cuboni, Giuseppe Desogus, Emanuela Quaquero, Cagliari, 12-14 settembre 2018).
3 – Ibidem.
4 – Fonte: Ilsole24ore, “Chiesa, 2mila miliardi di immobili nel mondo”.
5 – L’argomento è stato in più occasioni studiato e sperimentato da Franco Milella di Fondazione Fitzcarraldo, il quale ha recentemente pubblicato un articolo di particolare efficacia esplicativa (ved. Franco Milella, Nuove strategie possibili per il patrimonio culturale, Il Giornale dell’Arte numero 395, marzo 2019).
6 – Campagnoli G. (2019), Gli spazi dismessi della Chiesa: da vuoti ad opportunità, Millionaire, marzo 2019.
7 – Campagnoli G. (2018), Punta sulla cultura nelle città d’arte, Millionaire, dicembre 2018.

Catacombe: Foto da Coop La paranza
Magnificat / Vicoforte: foto da coop. kalatà
Asti spazio Kor: foto da Associazione CRAFT
Tortona: foto di Giovanni Campagnoli / Riusiamo l’Italia

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