Io credo che la verità del Vangelo scorra, viva, certo sulla parola ma anche sulle pietre, sul sasso edificato che l’architettura accoglie.
L’architettura nel suo etimo, comanda il costruire “arckè teickzo“, che fa casa, dove ci si incontra, ci si protegge, dove si condividono le storie della propria esistenza, il quotidiano e le speranze del futuro.
L’architettura della casa, della casa vicina “para-oikos“, che diventa spazio, è un gesto creativo che si fa materia, spazio-tempo di oggi, che vive, riflette la storia del presente, che vive del passato come energia sana vera.
La casa vicina dove gli uomini ritrovano l’anima, il pensare, il sentire, i sentimenti, la fragilità del singolo che diventa forza sposando i sentimenti assieme alla propria comunità.
L’autunno scorso, novembre 2017, la Soprintendenza di Milano dei beni architettonici, nella persona di Antonella Ranaldi, architetto, ha cercato la “casa dimenticata”, che Ambrogio, santo vescovo, aveva fatto edificare in Milano, ricostruendo con il segno di Cristo, il Cardo e Il Decumano della nuova città riappacificata, sulle fondamenta di storia e di pietra della città imperiale.
I simboli del potere di un territorio protetto, difeso, riconosciuto, inquadrato, circoscritto e segnato dal cardo e decumano della città romana si rinnova, si fa città cristiana: Sant’Ambrogio, San Simpliciano, San Nazaro, San Dionigi.
Le quattro basiliche promosse da Ambrogio, dopo l’editto di Costantino, sono le “start up” che hanno messo in moto l’architettura degli edifici ecclesiastici: semi generatori, germe fecondo che in 1700 anni ad oggi ha dato vigore, innovazione, creatività, bellezza, valore all’architettura della Chiesa e significato al paese, alla contrada, alla città.
L’architettura, i valori del fare, mettere pietra su pietra costruire la città per riconoscersi cittadini assieme, legati dai valori di un credo e sentirsi fratelli nella parola del Vangelo.
La Soprintendenza, coadiuvata dai suoi collaboratori, ha portato alla luce le antiche rovine della basilica di San Dionigi, di cui si era perduta la geo localizzazione, perdute, ormai nascoste confuse sotto tanti metri di terra, che il viale, il parco progettato dal Piermarini prima (1771) e dal Balzaretto dopo (1856) avevano nascosto e reso difficilmente rintracciabile nella sua locazione originale.
Io credo, che quella terra rimossa, quello scavo profondo che ritrova le antiche fondamenta di un convento, di un luogo di preghiera, di incontro siano la metafora più eloquente per riconoscere nel fare architettura e nel costruire il segnale forte che mi sento di rinnovare e rivolgere a tutti gli architetti.
Nell’architettura i valori del Vangelo.
L’architetto ha il dovere di operare con professionalità, intuizione, sensibilità ai tempi di un oggi confuso, con competenza per ritrovare nel suo fare architettura la missione del suo essere architetto, del suo operato, presente e responsabile del tempo che vive con i problemi, le speranze dell’oggi per ascoltare, sentire, riconoscere, progettare, condividere, ed edificare lo spazio dell’incontro della “casa vicina“.
La Diocesi, la Parrocchia, il convento, la comunità è impegnata nel fertile colloquio che diventa “casa” con il costruito, per coinvolgere, coinvolgersi in energia: energia creativa, per cantare insieme il proprio quotidiano cristiano.
Nel novembre 1995, presso il Salone dei Congressi dell’Unione del Commercio del Turismo della Provincia di Milano, al convegno che mi ha coinvolto al tavolo dei relatori“, ”Giornata di riconoscenza e riconoscimento ai Costruttori di Cattedrali“ il Cardinale Carlo Maria Martini ha sottolineato ”la nobiltà degli sforzi compiuti, spesso nel silenzio e nell’indifferenza, perché nei nuovi cantieri delle periferie in espansione, tra l’affanno di chi immigrava alla ricerca di un lavoro e il disordine delle costruzioni affastellate, ci fosse un luogo di preghiera…“
Nell’anno del cinquantesimo dalla fine della seconda guerra mondiale, il salone pienissimo, presenti tutti i trecento progettisti per le nuove trecento chiese di Milano, presenti costruttori, presenti i parroci che le hanno volute.
Oggi la società ha nuovi problemi; le periferie, l’accoglienza, le migrazioni. La società si ritrova ad affrontare difficili quotidianità: l’architetto dovrà rinnovare tutto il suo impegno per dare il suo contributo, e per fare del suo “fare la pietra” della comunità che si incontra, il fare necessario importante vivifico che oggi si rinnova, per riflettere sull’impegno, la cultura, intuizione, e la creatività e professionalità e responsabilità dell’Architetto.
Arch. Giuseppe Maria Jonghi Lavarini
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