Don Luca Franceschini, direttore Ufficio Nazionale
per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della CEI
Nel 1985, dopo essermi diplomato come geometra, entrai in seminario intraprendendo gli studi filosofici e teologici arricchiti poi da una laurea in storia presso l’università di Pisa.
Pensai così di essermi per sempre lasciato alle spalle l’esperienza tecnica acquisita e le ulteriori prospettive tecniche che avevo immaginato, per dedicarmi ad altro: alla gente, alla predicazione del Vangelo, alla celebrazione dei Sacramenti.
Non mi aspettavo di essere in futuro rapito da un servizio alla Chiesa che passasse di nuovo attraverso un’esperienza tecnica così intensa, fatta di progetti da promuovere, esaminare, sostenere; fatta di edifici da pensare, costruire o restaurare, di musei, archivi, biblioteche, impianti.
Non posso nascondere che a volte mi sono chiesto quanto tutto questo avesse a che fare con la mia vocazione e con la vocazione della Chiesa. Non solo; mi sono anche chiesto che senso potesse avere in caso di calamità mettersi all’opera preoccupandosi prima di tutto delle strutture e della messa in sicurezza delle opere d’arte mentre la gente è fuori di casa, regna la paura, la preoccupazione e il pianto.
Ho vissuto questa esperienza direttamente nella mia Diocesi di Massa Carrara – Pontremoli dopo il sisma del 2013 che colpì Lunigiana e Garfagnana e, successivamente, partecipando come incaricato regionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto per la Toscana al tavolo dell’Unità di Crisi Regionale convocata dal Segretariato del (l’allora) Ministero dei Beni e della Attività Culturali e del Turismo a seguito della Direttiva dell’aprile 2015.
Fu lì che mi venne in mente la situazione narrata nel film “Salvate il soldato Ryan”: mentre si sta combattendo una guerra con tutta la sua gravità, le sue battaglie e i suoi drammi, un piccolo drappello di uomini svolge una missione speciale: riportare in patria Ryan. È una scelta di umanità verso la sua famiglia e il suo Paese che ha un valore speciale che coinvolge alcuni, non tutti; le storie di questi uomini si intrecciano con quelle degli altri in guerra, combattono con altri, combattono per altri, portano a termine la loro missione.
Così ora vediamo in Ucraina e abbiamo visto, purtroppo, in altre drammatiche scene. Si combatte, si fugge, è in gioco la vita, la libertà e la salvezza di molti, tuttavia un drappello di uomini opera per mettere in salvo statue, dipinti, immagini che non solo sono opere d’arte: sono la storia e l’identità religiosa e culturale di un popolo che non può andare perduta.
Allora anche in tempo di pace ha senso che nella Chiesa, nella quale vi sono molte membra ciascuna con una sua funzione, via sia un drappello di uomini e donne che lavorano per questa identità, per questa storia, per rispondere alle esigenze delle comunità che non solo hanno bisogno di una chiesa dove celebrare la loro fede o di stanze a servizio del ministero, ma hanno bisogno di bellezza, di arte.
Hanno bisogno di un’arte che custodiamo in un patrimonio ricchissimo ma anche di un’arte nuova che parli il difficile e frantumato linguaggio del nostro tempo.
Può esistere allora una missione per la Chiesa, e dunque per me, nel custodire, nel proporre, nel progettare nuove opere e soprattutto nel dialogare in modo positivo e propositivo con gli architetti e gli artisti.
Si tratta prima di tutto di una ricerca di verità, tema tanto caro a papa Benedetto: “La nostra testimonianza, deve nutrirsi di questa bellezza, il nostro Vangelo deve essere percepito nella sua bellezza e novità, e per questo è necessario saper comunicare con il linguaggio delle immagini e dei simboli; la nostra missione quotidiana deve diventare eloquente trasparenza della bellezza dell’amore di Dio per raggiungere efficacemente i nostri contemporanei, spesso distratti e assorbiti da un clima culturale non sempre propenso ad accogliere una bellezza in piena armonia con la verità e la bontà, ma pur sempre desiderosi e nostalgici di una bellezza autentica, non superficiale ed effimera.”1
È in gioco tuttavia il nostro comportamento globale e la salute della Terra, nostra casa comune: “se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio.”2
Esiste dunque una chiamata alla ricerca della bellezza, al contemplarla, custodirla e annunciarla; esiste una chiamata al sostegno delle vocazioni di tutti.
Credo allora che il nostro Ufficio sia quello di sostenere la vocazione di chi fa qualcosa affinché scopra il senso profondo della sua opera. Insegna ancora papa Francesco: “Quando uno scopre che Dio lo chiama a qualcosa, che è fatto per questo – può essere l’infermieristica, la falegnameria, la comunicazione, l’ingegneria, l’insegnamento, l’arte o qualsiasi altro lavoro – allora sarà capace di far sbocciare le sue migliori capacità di sacrificio, generosità e dedizione. Sapere che non si fanno le cose tanto per farle, ma con un significato, come risposta a una chiamata che risuona nel più profondo del proprio essere per dare qualcosa agli altri, fa sì che queste attività offrano al proprio cuore un’esperienza speciale di pienezza. Questo è ciò che diceva l’antico libro biblico del Qoèlet: «Mi sono accorto che nulla c’è di meglio per l’uomo che godere delle sue opere» (3,22).”3
- BENEDETTO XVI, Messaggio al Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura in occasione della XIII seduta pubblica delle Pontificie Accademie sul tema: Universalità della bellezza, estetica ed etica a confronto. 24.11.2008
- FRANCESCO, Lettera Enciclica “Laudato si’ “, n° 11. 24.05.2015
- FRANCESCO, Esortazione apostolica post sinodale “Christus vivit”. N° 273. 25.03.2019