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Il Sacro e la comunicazione

Il Museo come opera d’arte. Lo spettacolo del bello al servizio del sacro nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze

Il maggiore problema dei musei oggi è che non comunicano. Sono magnifici palazzi con abitanti affascinanti – i capolavori –, i quali però rimangono nel silenzio.
Il problema è più acuto quando i capolavori hanno carattere sacro e la mancata comunicazione chiude la via ad una ‘comunione’ di idee e credenze che le opere volevano instaurare.

Questo almeno era il ragionamento del Cda della secolare Opera di Santa Maria del Fiore quando, nel 2011, mi ha assunto per definire il progetto museologico del nuovo Museo dell’Opera del Duomo, chiedendomi di farlo ‘il museo più interattivo d’Italia’.

Si trattava di un piccolo museo aperto nel 1891 per accogliere opere provenienti dal battistero, duomo e campanile di Firenze, e che lungo il ‘900 era cresciuto a 20 sale con 2500mq di spazio, ma senza un progetto espositivo e con un afflusso annuale intorno ai 70,000 visitatori per Firenze piuttosto pochi.

Il patrimonio meritava altri numeri: le opere in marmo e bronzo, in oro, argento e tessuto, hanno firme prestigiosissime: Arnolfo di Cambio, Tino di Camaino, Ghiberti, Donatello, Nanni di Banco, Luca della Robbia, Antonio Pollaiolo, Andrea del Verrocchio, Michelangelo.

Poi verso la fine degli anni 1980 la Soprintendenza ci intimò la necessità di portare in salvo alcune grandi opere ancora all’esterno: le tre porte bronzee del Battistero e i corrispondenti gruppi statuari che le sovrastavano.

Nel vecchio museo non c’era spazio per opere monumentali, e così la Fabbriceria ha acquistato un edificio attiguo, un teatro risalente a 1778, portando così lo spazio a 6000mq. Fu il 1997, e il Cda mi invitò a proporre una riorganizzazione della ‘collezione’, che finalmente disponeva di spazi adeguati.

Il turismo massificato era già incominciato e ci rendemmo conto che il nostro pubblico era ormai quello globale, e sapevo di dover comunicare i messaggi cristiani del Medioevo e del Rinascimento europeo a persone con altre storie, appartenenti ad altre fedi e culture, che dei grandi maestri fiorentini conoscevano magari solo Michelangelo.

Fu allora che concordai con i nostri architetti Adolfo Natalini, Piero Guicciardini e Marco Magni di sfruttare il carattere originario del nuovo edificio per creare un allestimento ‘spettacolare’.

La spazialità dell’antico teatro ci permise di ricostruire la mai compiuta prima facciata del Duomo, conosciuta grazie a un disegno fatto prima che venisse smantellata nel 1587, e di ricollocarvi le più di 60 statue e statuine originalmente collocato nelle sue nicchie e edicole.

Dirimpetto, in enormi teche che ne garantiscono le condizioni atmosferiche, le porte di Andrea Pisano e Lorenzo Ghiberti, con, sopra, i grandi gruppi di statue, tornano a dialogare con la facciata infatti erano tutte realizzate quando essa c’era ancora, prima del 1587. Analoghe tattiche poi in tutto il museo, con allestimenti e illuminazioni calcolate a comunicare l’emozione e la ‘logica’ di fede ecclesiale e devozione individuale dei capolavori.

A parete nella Tribuna di Michelangelo esponiamo addirittura uno dei sonetti che il maestro scrisse negli anni in cui scolpiva la sua penultima Pietà.

Fondamentale in questa strategia è l’utilizzo di aggiornate tecnologie di comunicazione. Oltre alla ufficiale guida stampata, e alla possibilità di prenotare una visita con i nostri custodi-guida, il Museo ‘si narra’ con testi a parete in ogni sala, con 2 ‘punti cinema’, con 7 installazioni video, con touchscreen e app da scaricare, senza contare gli apparati delle mostre temporanee occasionalmente allestite.

Oggi le nostre opere ‘parlano’, e dall’inaugurazione del nuovo Museo nel 2015 il numero di visitatori si è aumentato da 70,000 a 700,000 annui, mentre il tempo medio della visita da 40 minuti a due ore.

Il nuovo ampliamento del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, progettato da Adolfo Natalini, è stato realizzato dal 2009 al 2015 nei locali attigui al museo a sinistra dell’attuale biglietteria, dove si trova l’ex-teatro degli Intrepidi, voluto dal Granduca Pietro Leopoldo nel 1779.
Il museo, riaperto al pubblico il 29 ottobre 2015, contiene una ricostruzione della facciata di Santa Maria del Fiore secondo il primo progetto Arnolfiano, a cui stanno contrapposte le porte e le statue del battistero.
L’allestimento in sé spettacolare intende comunicare emozioni, perché l’arte è sempre emozione, ma anche contenuti. Oggi la digitalizzazione è uno degli strumenti più utili per comunicare.
Il museo mette le tecnologie a disposizione di coloro che sono già abituati e che le desiderano, senza nulla togliere a chi invece preferisce visitare il museo in un modo più tradizionale.
In un mondo globalizzato ci sono molte mentalità, lingue e tradizioni culturali diverse.
L’Obiettivo è quello di accogliere e rendere possibile la fruizione del museo a tutti.
Il fruitore capisce che la tecnologia è asservita alla comunicazione dei contenuti scelti e che la natura stessa del Museo e dei capolavori che esso offre ha carattere religioso.

Mons. Timothy Verdon, Direttore del Museo dell’Opera del Duomo, Firenze.
Statunitense di nascita (New Jersey, 1946), è uno storico dell’arte formatosi alla Yale Univer-sity (Ph.D. 1975).
Vive in Italia da più di 50 anni e dal 1994 è sacerdote a Firenze, dove dirige sia l’Ufficio Diocesano dell’Arte Sacra e dei Beni Culturali Ecclesiastici, sia il Museo dell’Opera del Duomo.
Autore di libri e articoli in italiano e inglese sul tema dell‘arte sacra, è stato Consultore della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa.
Tra il 2010-2015 ha ideato ed organizzato mostre d’arte a Torino, Firenze, Seul, Washington e New York.


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