ove si scenderà a rimirar le stelle
Il MiBAC recupera un’altra parte del firmamento artistico di Milano: l’antico cielo stellato della Chiesa ipogea di San Sepolcro è stato liberato dalle tinteggiature soprammesse che lo hanno tenuto nascosto sino ad oggi.
Antiche pitture medioevali
Dopo attente operazioni di rimozione delle ridipinture, che avevano appesantito le superfici e occultato le preziose pitture medioevali, sono tornati in luce: il ciclo decorativo a stelle ed elementi vegetali sulle volte del presbiterio, databile alla fine del Duecento, inoltre, tracce dell’antico velario che ornava le porzioni basamentali, insieme alle decorazion architettoniche che marcavano con una ghiera a finti mattoni le arcate molto slanciate del presbiterio, delle navate e dell’endonartece. Anche i pregiati intonaci antichi sono ora visibili e impreziosiscono gli ambienti ipogei di cui si compone la chiesa.
L’inizio dei restauri
I restauri iniziati nel 2018 (durati 13 mesi, aprile 2018 – maggio 2019) sono stati condotti dalla Soprintendenza di Milano con finanziamento di 1 milione di euro del Ministero per i Beni e le Attività culturali, con stazione appaltante il Segretariato regionale della Lombardia, in stretta collaborazione con la Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Oltre al restauro delle superfici decorate e degli intonaci antichi con gli straordinari rinvenimenti e scoperte delle pitture medioevali, l’intervento ha riguardato l’impiantistica, studiata per assicurare condizioni ambientali stabili all’interno della cripta.
La nuova illuminazione
La nuova illuminazione inoltre esalta gli spazi restituiti alla spiritualità propria di questo luogo, memoria del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Dai millenari ambienti, tornati visitabili solo da pochi anni (dopo i preliminari interventi compiuti dall’Ambrosiana di deumidificazione accompagnati da saggi esplorativi delle superfici) riemergono oggi, a seguito del restauro, mirabili affreschi e decorazioni, memorie di persone devote e sante che i secoli hanno impresso su monumento.
Le volte stellate
L’estesa superficie decorata a stelle, alternate a rosette, presente su tutte le volte del presbiterio, costituisce un importante motiv decorativo, ricorrente specialmente nelle architetture monastiche del XIII e XIV secolo, qui caratterizzato da una inedita freschezza, varietà e ricchezza di forme, che possiamo apprezzare nell’originalità del fatto che non sia stato toccato da restauri precedenti. I motivi decorativi sono tutt’altro che ripetitivi, le stelle fitomorfiche, con palmette e raggi a fiamma di candela, si espandono ad occupare lo spazio delle volte, mentre in altre zone si stendono in modo più regolare a tappeto. Può dirsi che si scende in questi ambienti sotterranei a rimirar le stelle. Accanto al sacello del Santo Sepolcro, è ricomparsa sulla volta a sinistra l’immagine, racchiusa in un tondo, a monocromo rosso dell’Angelo (forse rappresentazione dell’Arcangelo Michele), che annuncia la resurrezione, legato ai riti dell’accensione del cero nelle veglie pasquali e nelle processioni che partivano da qui, dal San Sepolcro dirette in Duomo.
Il restauro del ciclo degli affreschi
Sono stati restaurati inoltre gli affreschi, occultati dai depositi di sali superficiali dovuti alla presenza di forte umidità e condensa, tra cui le due bellissime e intense crocifissioni (una nella scala a scendere, l’altra trecentesca nel presbiterio), le tre figure in piedi di Maddalena, Giovanni Battista ed Elena (la madre di Costantino), o secondo alcuni, invece di sant’Elena, santa Caterina d’Alessandria e La cena in casa di Simone nell’ala sinistra del presbiterio, gli affreschi cinquecenteschi della Madonna di Loreto e La Madonna e santi Rocco e Giovanni Battista nell’atrio e gli stucchi e decorazioni seicentesche dell’abside con raffigurati gli angeli che portano gli strumenti della Passione.
Indagini georadar
Sono state eseguite le indagini georadar per esplorare il sottosuolo, analizzata la composizione dei materiali, stucchi, intonaci, elementi fittili e lapidei, i sottofondi in cocciopesto, e rilevata la stratigrafia delle murature. Questa grande chiesa ipogea del 1030, eretta sull’antico Foro di Mediolanum, nel vero centro e ombelico della città, è stata restaurata come una preziosa reliquia di cui preservare l’autenticità, l’antichità e la spiritualità. Il valore di autenticità, antichità e spiritualità impregna questa straordinaria cripta, atipica in quanto trattasi di una vera e propria chiesa ipogea estesa sull’intera superficie della chiesa superiore, collegata ad essa con quattro scale, di cui la coppia a chiocciola nell’atrio di ingresso prosegue nelle due torri che inquadrano la facciata.
I reperti dell’antico foro
Il pavimento è formato dalle lastre in bianco e rosso di Verona, dell’antico Foro, che insisteva proprio in questo luogo, di cui si conservano altri brani d pavimentazione sotto all’Ambrosiana. I costruttori del Mille, nello scavare per realizzare la chiesa sotterranea, ritrovarono le lastre in pietra di grande formato dell’antico Foro, che reimpiegarono come pavimento orientando le lastre in direzione del senso di percorrenza dei fedeli lungo le navate, nel presbiterio e creando una corsia centrale nell’atrio.
La cripta dell’anno 1000
Straordinariamente, la cripta conserva l’architettura dei primi decenni dell’anno mille (1030), ora valorizzata dal restauro compiuto dalla Soprintendenza. Costituiva il livello inferiore della chiesa, suddiviso in tre settori. Il primo è l’atrio di ingresso, l’endonartece, con 8 colonnine e capitelli appena sbozzati, da cui partono, separate da un muro divisorio traforato nella parte sommitale da tre oculi circolari (in uno si conserva la transenna originale di chiusura), le tre navate dell’aula scandite da 6 slanciate colonnine in preziosi marmi di recupero, sormontate d raffinatissimi capitelli “cubici” con agli angoli superiori stilizzate foglie d’acqua. Si prosegue il cammino verso l’ampio presbiterio triconico con l’imitatio Sepulchri al centro, il sacello delimitato da 4 colonnine libere, protetto da grate in ferro, che riproduce, anche nelle dimensioni e soprattutto nelle intenzioni, il luogo più sacro della cristianità: il Santo Sepolcro di Gerusalemme.
La forma a croce
Benedetto Rozo, nel 1030, volle erigere la chiesa a forma di croce, con tre grandi absidi, un avancorpo tra torri gemelle, che caratterizzano la facciata, e una grande chiesa sotterranea. Ma la complessità del programma e dell’architettura fa bene intendere che dietro la sua iniziativa ci fosse il patrocinio superiore del grande arcivescovo Ariberto da Intimiano. Le tendenze dell’architettura d’oltralpe che si riscontrano in questa chiesa furono sperimentate da Ariberto anche nella coeva chiesa di San Dionigi presso la Porta Orientale (Porta Venezia), di fondazione Ambrosiana (come testimonia la sua stratigrafia più antica) e demolita alla fine del Settecento, di recente indagata e ritrovata dalla Soprintendenza di Milano.
La SS.Trinità
Nella chiesa, già dedicata alla SS. Trinità, il riferimento all’Anastasis di Gerusalemme e al Santo Sepolcro si rafforza nella riconsacrazione del 1100 (il 15 luglio) da parte dell’Arcivescovo Anselmo IV da Bovisio, alla vigilia della partenza per la crociata ‘lombarda’ del 1100-1101. Successivamente, a seguito di un crollo, le volte del presbiterio furono ricostruite. Le volte dell’atrio e delle navate restarono invece quelle originali, dal caratteristico profilo rialzato, con archeggiature molto slanciate che poggiano su un alto piedritto in muratura sopra i capitelli. Le arcate sono sottolineate da ghiere rosse dipinte che imitano i mattoni.
La statua di San Carlo Borromeo
Anche l’Arcivescovo Carlo Borromeo era molto affezionato a questa chiesa, dove di notte amava ritirarsi in preghiera. Lo ricorda la statua inginocchiata, seicentesca e successiva alla sua canonizzazione, posta nella celletta del simulacro del Santo Sepolcro, al cospetto del sarcofago lapideo, formato da una cassa e da un coperchio a spioventi, realizzato da un notevole scultore campionese agli inizi del Trecento: esso costituisce il cuore della basilica sotterranea, le cui figure scolpite raccontano l’evento del ritrovamento del sepolcro di Cristo vuoto, perché risorto.
L’ombelico della città
San Carlo descrive la chiesa con queste parole: in media civitate constructa, quasi Umbilicus iacet (= essendo stata costruita nel centro della città, ne è per così dire l’ombelico). San Carlo, parlando di ‘centro della città’, come del resto già Anselmo IV nel 1100, esprime non solo una condizione topografica. Come «vero mezzo» è annotato da Leonardo da Vinci sul celebre foglio del Codice Atlantico con la mappa della Milano di fine Quattrocento. Leonardo in questa pianta, traccia al centro della città un rettangolo vuoto, l’unica piazza che disegna, quella dell’antico Foro romano di Mediolanum, dove insisteva appunto la chiesa di San Sepolcro e dove più tardi ad opera di Federico Borromeo sorgerà l’Ambrosiana.
La Chiesa di San Sepolcro sorge sulla piazza dell’antico Foro dell’Impero Romano: antichi pavimenti di marmo sono ancora visibili nella chiesa ipogea.
Leonardo da Vinci
Leonardo da Vinci conosceva molto bene la chiesa di San Sepolcro che rileva disegnandone le piante, l’alzato ed alcuni particolari. Gli interessava probabilmente la pianta espansa con tre absidi del presbiterio che costituisce quasi un corpo a sé stante centralizzato, e soprattutto l’articolazione su più livelli in altezza, chiesa inferiore, superiore e matronei, per assonanza alle sue sperimentazioni di città ideali anch’esse pensate su più livelli con strade e ambienti sotterranei.
Il cielo stellato
Il termine Umbilicus – ombelico – utilizzato da Carlo Borromeo, esprime il vero senso della chiesa milanese di San Sepolcro, umbilicus della città, della quale è il centro fisico e spirituale, in analogia a Gerusalemme e all’Anastasis (per gli Occidentali la basilica del Santo Sepolcro nel luogo del sepolcro e della resurrezione di Cristo), umbilicus terrae, del cosmo intero. La stessa raffigurazione delle volte stellate, compiuta tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento, potrebbe, è un’ipotesi, essere stata ispirata dal cielo stellato che in origine sembra decorasse sia il Santo Sepolcro, sia la cupola dell’Anastasis.
Temi paleocristiani
Il cielo stellato aggiornava con maggiore fantasia botanica (con palmette, rosette e perfino un cipresso al vento) i temi paleocristiani della volta stellata su fondo blu del Battistero di San Giovanni in Fonte a Napoli, e del cd. Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, dove la stessa Galla Placidia si ritirava in preghiera e piangeva, come a distanza di tempo e di luogo, faceva Carlo Borromeo in San Sepolcro a Milano.
Dopo le scoperte di questo restauro, si scenderà in San Sepolcro a rimirar le stelle.
La piazza e il Foro Imperiale
Guardando in avanti, vorremmo a restauro oggi concluso, liberare finalmente la piazza antistante alla chiesa, occupata da troppe macchine, per farne in ricordo del Foro e della presenza di Leonardo e del Codice Atlantico presso l’Ambrosiana, un Foro Atlantico intorno alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana e alla chiesa di San Sepolcro, ombelico della città.
Il restauro è stato condotto da chi scrive (soprintendente Antonella Ranaldi) con i contributi di un Comitato Scientifico di prestigio di conoscitori della chiesa di San Sepolcro, composto da: la soprintendente Antonella Ranaldi; mons. Marco Ballarini, Prefetto dell’Ambrosiana; mons. Alberto Rocca, Direttore della Pinacoteca Ambrosiana; mons. Marco Navoni, dottore dell’Ambrosiana; prof. Carlo Bertelli; prof. Carlo Luigi Schiavi, Università di Pavia; prof. Andrea Spiriti, Università dell’Insubria.
È in corso di pubblicazione da Silvana editoriale il volume sui restauri compiuti, la storia, le scoperte, la liturgia, l’architettura e la pittura.
Si ringraziano il Prefetto della Biblioteca Ambrosiana mons. Marco Ballarini, il Presidente della Congregazione dei Conservatori prof. Lorenzo Ornaghi, per l’impulso dato a questi lavori, i dottori dell’Ambrosiana e il Comitato Scientifico.
Un ringraziamento particolare va al Ministero per i beni e le attività culturali a cui appartengo, al Ministro Alberto Bonisoli, al Segretario Generale Giovanni Panebianco, al personale della Soprintendenza: Paolo Savio, Responsabile del Procedimento, Luigi Pedrini, direttore dei lavori, Italo Tavolaro per l’impiantistica, Laura Paola Gnaccolini, Annamaria Fedeli, Annunziata De Dominicis, Gianpiero Bonnet, il personale amministrativo della Soprintendenza e del Segretariato regionale della Lombardia. Inoltre, ringrazio, per il valido e fattivo contributo, l’arch. Gaetano Arricobene, progettista e Coordinatore per la sicurezza; le imprese esecutrici Ambra Core per le opere di restauro, la Lithos per le opere murarie e la De Marco con la collaborazione dell’impresa DZ Engeneering, per le opere impiantistiche.
a cura di Antonella Ranaldi
Soprintendente Archeologia, BelleArti e Paesaggio di Milano
Fotografie di Maurizio Montagna
Fotografie, titoli e didascalie a cura di Edmondo Jonghi Lavarini