S.Ecc. Mons Giuseppe Baturi,
Arcivescovo di Cagliari
I lettori di questa Rivista conoscono bene il “movimento” di beni temporali necessari per assicurare alle comunità ecclesiali chiese belle e funzionali.
Il Concilio Vaticano II afferma chiaramente che «la Chiesa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede» (GS 76).
Tutta la dinamica relativa ai beni (acquisto, amministrazione, utilizzazione, rendicontazione) è strettamente connessa con la comunione dei credenti, la celebrazione eucaristica e la testimonianza della carità.
Nell’esperienza plurimillenaria della Chiesa, l’ordinamento degli edifici e degli arredi destinati al culto è sempre stato considerato uno dei fini propriamente ecclesiali di uso dei beni, insieme al sostentamento del clero, alla testimonianza della carità e l’azione pastorale.
Il rapporto tra i beni materiali e i fini della Chiesa ha trovato una elegante formulazione nelle parole di San Paolo VI: «La necessità dei “mezzi” economici e materiali, con le conseguenze ch’essa comporta: di cercarli, di richiederli, di amministrarli, non soverchi mai il concetto dei “fini”, a cui essi devono servire e di cui deve sentire il freno del limite, la generosità dell’impiego, la spiritualità del significato».
Un chiaro corollario del principio è che le offerte fatte dai fedeli per un determinato fine non possono essere impiegate che per quel fine.
Il rispetto della volontà dei donanti induce anche a sollecitarne i contributi dichiarandone uno scopo ben definito e rendicontandone poi con chiarezza l’uso.
Anche se il patrimonio ecclesiastico è parcellizzato in relazione alla molteplicità degli enti, deve sentirsi forte la responsabilità di esprimerne la fondamentale unità. La necessitas vel utilitas Ecclesiae richiederebbe, di conseguenza, una considerazione unitaria del patrimonio immobiliare.
Le norme della CEI per l’edilizia di culto, per tale ragione, non solo consentono ma incentivano la cooperazione tra diversi enti, e promuovono una opportuna programmazione diocesana, che può facilmente valorizzare il patrimonio esistente insieme agli interventi di nuova costruzione, in una linea di solidarietà e di perequazione tra gli enti e le comunità cristiane.
La questione dei beni temporali è davvero intimamente connessa all’ecclesiologia, ossia alla consapevolezza che la comunità dei credenti ha di sé e della propria missione nel mondo.