Architetto Caterina Parrello
Direttore Editoriale CHIESA OGGI
Ogni luogo della cultura si contraddistingue per un intenso scambio di conoscenze tra l’interno e l’esterno dei propri confini, nei confronti degli utenti, degli altri operatori culturali, della comunità locale e dei suoi rappresentanti, e addirittura, in senso temporale, prolunga la propria azione verso le generazioni future.
Reti, sistemi, poli museali e distretti culturali, sono termini ormai indissolubilmente legati al tema della valorizzazione del patrimonio culturale, ma anch’essi non del tutto esplorati dal punto di vista delle potenzialità di funzionamento e, quindi, delle condizioni necessarie per il contenimento dei costi, il miglioramento delle qualità e la maggiore efficienza del loro utilizzo.
La valorizzazione è, infatti, la funzione che orienta il bene culturale alla conoscibilità, rendendolo concretamente uno “strumento di crescita sociale e culturale”, così che il patrimonio culturale, dunque, e i singoli beni che lo compongono, siano “testimonianze di civiltà”.
La modalità per valorizzare efficacemente è il fare sistema.
Per poter valorizzare un bene, un sito, un insieme di beni è necessario che tutti gli attori istituzionali che sono titolari di competenze amministrative in quel territorio siano coinvolti e vi partecipino secondo modalità coordinate e concordate.
Dall’altro lato, ancor più importante appare la partecipazione anche delle comunità che vivono nei territori e che nei beni ritrovano il proprio carattere identitario.
Qualsiasi bene, e in particolare i beni di natura ecclesiastica costituiti anche dal patrimonio MAB (Musei Archivi e Biblioteche) per essere valorizzati correttamente devono seguire un modello di gestione che si basa su attività organizzative che rendono concretamente il bene fruibile e dunque conoscibile, finalizzate ad aumentare il valore dell’esperienza culturale della visita, oltre che ad accrescere il valore di appartenenza dei beni alla comunità e a generare benefici economici.
Un museo “non gestito” non è un museo, è solo un contenitore, che può ben conservare i beni al suo interno, ma non li può far conoscere quindi non li può valorizzare, non consentendo ai beni che lo compongono di comunicare il proprio valore.
Riferirsi al patrimonio culturale nazionale, inoltre, significa riferirsi non soltanto ai beni culturali, a prescindere dalla loro titolarità, pubblica o privata, ma anche a settori come archivi e biblioteche che solitamente sono considerati meno in tema di valorizzazione mentre, invece, hanno un ruolo importantissimo nella promozione della conoscenza.
Le loro collezioni contengono testimonianze preziosissime, non soltanto sotto il profilo della conoscenza, ma anche per il loro valore artistico particolarmente elevato.
La stragrande maggioranza dei luoghi della cultura in Italia, compresi quelli di natura religiosa, è di piccole dimensioni. Fondamentale diventa, quindi, il coinvolgimento di soggetti privati e l’attività di cooperazione.
Quali reti relazionali creare per la gestione e quindi per la valorizzazione?
Una prima riflessione deve essere fatta proprio sul tema “Collaborazione istituzionale”; presupposto primo per impostare correttamente un progetto di valorizzazione non può non essere la conoscenza del bene, della sua natura, della sua storia e delle relazioni che nel tempo hanno legato sempre più il bene al territorio.
Se questo presupposto è condiviso, allora le strategie da definire devono essere diverse, devono avvicinare le persone non solo al “bene” in quanto luogo di cultura, ma soprattutto al territorio dove storia, natura, arte, fede, archeologia, tradizioni, costumi si fondono portando a unitarietà quella cultura materiale e immateriale che caratterizza il nostro Paese.
Perseguire questo risultato richiede però una attenta capacità di programmazione da parte di tutti i soggetti istituzionali che intervengono nella gestione del territorio, perché solo operando insieme è possibile far emergere tutte le valenze culturali di cui il sistema Italia è ricco.
Bisognerebbe rafforzare il legame identitario delle popolazioni locali con il proprio territorio, presupposto questo peraltro indispensabile per ritrovare la cultura del rispetto e della difesa della conservazione dei beni, e nello stesso tempo prevedere delle ricadute economiche in termini, per esempio, di potenziamento dei servizi ricettivi, di riscoperta di antichi mestieri o di avvio e/o potenziamento di nuove attività.
Vivere dentro la crisi economica di questi anni, ci impone l’obbligo di riconsiderare, rivalutare e tirare le fila di quanto è stato fatto e ci invita a rivolgere le nostre energie maggiori verso la cultura del “Patrimonio diffuso”, quello che costituisce la nostra identità e che caratterizza il nostro tessuto territoriale.
Il settore dei beni e delle attività culturali potrà in futuro assurgere a protagonista delle politiche territoriali solo a condizione di un’attenta progettazione e gestione capace di intercettare le indicazioni delle politiche culturali più avanzate e, soprattutto, di accrescere la capacità di impostazione strategica e controllo operativo delle risorse e delle attività.
L’arte, la cultura, la creatività cosa sono se non innovazione, visione del futuro e sua rappresentazione?
La capacità di “fare sistema” deve essere il modello operativo a cui rivolgerci non solo per raccontare il nostro patrimonio culturale come memoria storica del passato, ma anche come nostra visione del futuro.