Dalla Scala alla Scala di Milano. Dalla rigenerazione urbana al progetto per la Magnifica Fabbrica
Una riflessione sul paesaggio urbano milanese, sulle periferie, sulla rigenerazione urbana, è sullo sfondo di questo libro che tenta di dare delle risposte attraverso un progetto pretesto, presentato dagli autori per il Concorso Internazionale di Progettazione Magnifica Fabbrica, che includeva la creazione della nuova sede dei laboratori e depositi del Teatro alla Scala e l’ampliamento del Parco della Lambretta, situato nel quartiere Lambrate a Milano.
Da questa prospettiva, l’area identificata dalla ex Innocenti-Rubattino è un sistema insediativo connesso alla tangenziale, agli aeroporti e a tutta la rete di relazioni sottesa alla gran macchina del Teatro alla Scala, fra città e mondo intero. La costruzione lignea del nuovo fronte urbano richiama il rapporto tra effimero e permanente, uno dei valori essenziali del teatro che, in modi sempre diversi, intreccia la permanenza dell’architettura con la mutevolezza degli spettacoli, e per certi versi è un ritorno allo spirito più autentico di Lambrate, ossia quello della produzione.
Un progetto che lega le infrastrutture, le fabbriche abbandonate, il flagello dell’inquinamento, l’assenza di verde, gli interrogativi sulle rigenerazioni urbane e l’unica risorsa che non va più consumata: il suolo. Come combinare insieme elementi eterogenei in una prospettiva nuova che tenga in massima considerazione la sostenibilità ambientale e la memoria della città?
Il progetto ha rivolto il proprio sguardo verso un’ecologia del paesaggio da un lato e una memoria percettiva dall’altro, prestando attenzione agli ecosistemi naturali ma anche al recupero di alcuni frammenti di ecosistemi artificiali – positivamente intesi – sedimentati a Milano, tra rinnovato razionale ambientalismo e significative architetture del moderno, per cui oggi Milano è riconosciuta nel mondo.Non possiamo più assopirci – avvelenandoci – alla fontana di uno spietato specialismo delle discipline che ha caratterizzato la “civiltà della tecnica” degli ultimi settanta anni, dobbiamo piuttosto avere il coraggio di riannodare il dialogo fra i saperi, per fare “buoni progetti” consapevoli di ogni aspetto delle complessità delle problematiche contemporanee.
In fondo ecologia, paesaggio, città, spazio aperto, edificio, interni sono aspetti a scala diversa del medesimo tema di progetto e ricerca ossia la trasformazione dell’ambiente costruito in cui si deve però tenere in considerazione che siamo ospiti della Natura e dell’ambiente e non depauperarli per assecondare il mercato immobiliare. L’uomo ha riversato le proprie fragilità sull’ambiente dimenticando come il progetto sia soggetto sempre alla “razionalità economica”, nel senso greco del termine, come predisposizione di regole tese a ordinare la “casa” intesa come ambiente.
Ambiente, luoghi ed esseri umani sono entità fragili. Questa condizione deve essere ben presente nello sviluppo delle progetto contemporaneo; infatti, proprio il riconoscimento delle fragilità apre le porte all’inclusività dialogica, mettendo a confronto esperienze di una vita con la freschezza e l’intelligenza di nuovi paradigmi e, grazie ad una sana ingenuità, non cadere nella tentazione tesa dalla trappola del pregiudizio.
Le discussioni per far avanzare un progetto, quando efficaci, sono proprio questo: novità ed esperienza dialogano intorno al tavolo del progetto, vivendo la speranza di migliorare frammenti di mondo, attraverso lo studio della storia, delle novità, e laddove non arriva la razionalità, azionando meccanismi di “cortocircuitazione” della conoscenza e dell’intuizione.
Alessandro Bianchi (Rimini, 1969), è professore di progetto e rappresentazione del paesaggio al Politecnico di Milano. Dal 2022 per il Comune di Milano è Garante del Verde, del Suolo e degli Alberi e per il Comune di Roma è membro del Comitato per la Qualità Urbana ed Edilizia come esperto delle Trasformazioni Urbane.
Tra i suoi libri si ricordano: La città riconoscibile (1999), Building by Signs (2003), Il Centro Piacentiniano di Bergamo (2018), Landscape by Signs (2019). È stato curatore della mostra Palazzo Te allo Specchio, alle Fruttiere di Palazzo Te di Mantova. Ha partecipato a numerosi concorsi e gare di progettazione conseguendo premi e menzioni, tra cui il Global Future Design Awards 2023 con il progetto Carbon Capture Towers.
Marco Lucchini (1969) è professore al Politecnico di Milano, dove insegna composizione architettonica presso la scuola AIUC e svolge attività di ricerca nel Dipartimento DASTU. È Visiting professor alla Poznan University of Technology. Si occupa di tematiche inerenti la città, la casa e la riflessione critica sull’architettura moderna.
Fra le pubblicazioni più rilevanti Barcelona/ Milán: arquitecturas modernas en contacto (Del Fascismo a la democracia) in collaborazione con Gaspar Jaen i Urban (2023), La casa popolare a Milano. Social Housing in Milan (2020), Trasfo_mace. Ipotesi di trasformazione e riuso per l’ex Macello di Milano (2020).