Non semplici monumenti decorativi destinati a spezzare la monotonia delle periferie ma vere “case del popolo” che sappiano accogliere tutti
Si è svolto a Milano, presso la prestigiosa sede della Triennale, il Convegno “Luoghi di Culto e Periferie, Rigenerazione Urbana”, promosso dalla testata Chiesa Oggi, in occasione della pubblicazione del numero speciale del 25° anno, in collaborazione con LaTriennale. L’incontro è stato condiviso dalla Diocesi di Milano e dalla Conferenza Episcopale Italiana e ha visto la partecipazione di numerosi professionisti e referenti di settore.
Il convegno è stato l’occasione per confrontarsi sul tema della qualità architettonica dei complessi parrocchiali e su come, questi, possano contribuire all’aggregazione e all’inclusione sociale, riqualificando non solo il tessuto urbano ma la stessa comunità che vi risiede.
Un edificio sacro e i servizi che propone possono diventare un riferimento anche per chi non è cri- stiano, ma vive nel contesto di una parrocchia, unico avamposto sociale e culturale presente nel territorio suburbano.
Ha aperto i lavori S.E. Mons. Antonino Raspanti, vicepresidente CEI, che ha presentato il progetto del Parco Culturale Ecclesiale, quale modello di rigenerazione dei territori legato alla valorizzazione del patrimonio materiale e immateriali della Chiesa, diffuso su tutto il territorio nazionale.
Sono intervenuti al dibattito gli architetti Boris Podrecca, Franco Purini e Vito Corte che hanno documentato le esperienze e i progetti di edifici di culto realizzati negli ultimi anni in territori degradati o da riqualificare, anche a seguito di eventi sismici che hanno colpito alcune aree del nostro Paese.
Il convegno è continuato con la tavola rotonda che ha visto il confronto tra rappresentanti delle istituzioni laiche e religiose invitate all’incontro e che ha evidenziato l’importanza di prevedere, per il prossimo futuro, la partecipazione di contributi e finanziamenti pubblici a fronte della realizzazione dei complessi parrocchiali che, con i servizi annessi, riescono ad incidere profondamente sul territorio garantendo stabilità e controllo sui territori.
DEL PRENDERSI CURA
Quali concetti più del “Prendersi cura” o del “Rigenerare” possono meglio descrivere il ruolo che l’edificio religioso può svolgere coniugando la propria intrinseca missione con quella relativa ai luoghi che lo accolgono? D’altra parte, quella del rigenerare presenze e del prendersi cura dei luoghi è stata nel corso della storia una delle prerogative più caratterizzanti l’architettura italiana, dai templi greci o romani trasformati in chiese, alle reti di pievi romaniche o oratori rinascimentali che hanno definito punti fermi nel paesaggio italiano. Quello con le periferie è, ovviamente, un rapporto più recente ma è indubbio che se quelle italiane sono qualcosa di meglio – urbanisticamente e socialmente – rispetto alle francesi o inglesi, parte del merito lo si deve attribuire alla presenza di edifici religiosi, dotati di una qualità architettonica conseguita tramite il coinvolgimento della migliore cultura architettonica italiana, che nel Novecento è stata molto più ricca e variegata che altrove. Certo, da tempo le vere dinamiche dei nostri territori ci sfuggono. La loro conoscenza si affida a concetti rimasticati o luoghi comuni, mentre mancano studi aggiornati che verifichino sul campo l’impatto di fenomeni come l’immigrazione, le nuove povertà, le diverse pratiche dell’abitare o de vivere sociale. Ancora una volta l’edifico religioso può svolgere un ruolo che la città pubblica non riesce a svolgere,quello cioè di creare polarità, punti di riferimento, spazi di incontro. Come in una moderna versione di Via Crucis, l’edifico religioso con- temporaneo può uscire dai suoi confini, per rigenerare luoghi coniugando la tradizionale funzione di Ecclesia con quella di percorso sacrale, diffondendo frammenti di valore nel paesaggio contemporaneo. Hans van der Laan, monaco benedettino e grande architetto olandese, ricordava nei suoi scritti come la liturgia fosse in fondo la valorizzazione attraverso la fede di oggetti comuni: abiti, mobili, stoviglie, edifici. L’architettura è anche questo,e coniugare le due attitudini potrebbe significare emancipare, attraverso il magistero della Chiesa e la qualità architettonica, l’ordinaria vita delle periferie. Alle chiese di oggi bisogna chiedere di non essere solo oggetti e di saper riversare fuori di sé un valore evidente, riconoscibile. Di dare così un contributo fondamentale al contrasto di quel processo di progressiva insignificanza che coinvolge le periferie effettive, ma periferizza sempre più anche centri e paesaggi storici. San Carlo Borromeo, nelle sue “Instructiones”, aveva immaginato che le chiese potessero divenire punti di riferimento nel paesaggio delle valli lombarde.
Oggi è la città il campo d’azione e la partecipazione ad un processo rigenerativo implica anche non lasciarsi attrarre dalla logica dell’architettura straordinaria, ma promuovere quella in grado di migliorare ciò che la circonda. Per far questo, non basta affidarsi al talento degli architetti, ma serve una formazione specifica, linee guida mirate, una conoscenza aggiornata che Chiesa e Università possono contribuire, insieme, ad offrire.
prof. arch. Alberto Ferlenga
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