Don Luca Franceschini, direttore Ufficio Nazionale
per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della CEI
L’edificio chiesa con le sue forme, i suoi arredi, i profumi che si respirano entrando, le immagini, i simboli che custodisce, racconta la Chiesa che in essa vive, si raduna, celebra, prega, canta, piange e spera. La Chiesa-popolo di Dio e la chiesa-edificio rimandano l’una all’altra. Non si potrà comprendere l’edificio senza la Chiesa che in esso vive; allo stesso modo l’edificio aiuterà a comprendere la Chiesa raccontando ciò che essa crede e celebra.
”Una Chiesa davvero secondo il Vangelo non può che avere la forma di una casa accogliente, con le porte aperte, sempre. Le chiese, le parrocchie, le istituzioni, con le porte chiuse non si devono chiamare chiese, si devono chiamare musei!” (Francesco, udienza del 9 settembre 2015).
Papa Francesco ha riproposto molte volte e in molti modi questo suo pensiero come una delle sue più profonde indicazioni pastorali. D’altra parte i vescovi italiani non avevano mancato di parlare di una Chiesa con le porte aperte già all’inizio del nuovo millennio: “Occorre incrementare la dimensione dell’accoglienza, caratteristica di sempre delle nostre parrocchie: tutti devono trovare nella parrocchia una porta aperta” (Nota pastorale CEI “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia” n° 6 del 30 maggio 2004).
Tenere aperte le chiese
Ovviamente sia i vescovi che il Papa si riferiscono ad un atteggiamento di accoglienza che la comunità cristiana deve avere verso coloro che si affacciano sulla “soglia” della porta del loro cuore, dei loro gruppi, delle loro parrocchie.
Le chiese parlano nel silenzio delle loro mura anche quando il parroco e la comunità non sono presenti.
Sarebbe bello poter costruire chiese senza recinzioni e edifici senza porte, che restino sempre aperti. Questo, tuttavia, non può esimere dall’accettare la sfida di trovare i modi, le persone, gli orari affinché le chiese siano aperte.
La paura di manomissioni o furti non può condurci a tenere le chiese sempre chiuse. Ricordo che in un convegno organizzato dal nostro Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici e l’Edilizia di Culto, un ufficiale dei carabinieri preposti alla tutela del patrimonio culturale presentò i dati dei furti nelle chiese: quelli avvenuti nelle chiese aperte e quelli compiuti in chiese chiuse più o meno si equivalevano a dimostrazione che la porta chiusa non è una garanzia di custodia e salvaguardia.
Oltre lo scivolo
Talvolta lasciar aperta la porta non è sufficiente e non basta neppure aggiungere uno scivolo che elimina la barriera dei gradini per consentire l’accesso a tutti. Così come sono molte le disabilità e ciascuna di esse richiede un’attenzione – e proprio su questo avremo un convegno a Firenze nel mese di maggio organizzato insieme con il Servizio Nazionale per le persone con disabilità – allo stesso modo sono molti gli ostacoli che impediscono alle persone di entrare, di capire, di sentirsi a casa propria, di sperimentare l’accoglienza. Molti sono gli ostacoli fisici e umani che poniamo rendendo poco efficace la missione della Chiesa e dell’edificio chiesa.
Imparare a riconoscere gli ostacoli, ad ascoltare le fragilità e le sensibilità di chi si affaccia alla porta o anche vi passa dinnanzi senza notarne gli stipiti pur spalancati è strumento indispensabile per consentire a tutti l’accesso.
Porte aperte oltre le mura
Le porte aperte non servono solo a consentire l’accesso a chi sta fuori: “La Chiesa deve essere sempre in uscita, altrimenti si ammala. E’ meglio una chiesa incidentata che una Chiesa ammalata da chiusura.” Sono ancora le parole di Francesco a dare il “la” ad un modo di presenza nel territorio della comunità cristiana. L’edificio chiesa con il suo campanile è certamente il segno di una presenza in mezzo alla gente.
Si tratta tuttavia solo di un segno che può concretizzarsi solo con questo essere in uscita; tale esperienza non si concretizza vagamente in un generico annuncio del Vangelo. Questo modo di essere vuole rendere la parrocchia un propulsore di fraternità, impegno sociale, attenzione e promozione umana, carità soprattutto verso i più poveri.
Aiuto ai più deboli, attenzione ecologica, riflessione sul tema energetico, attenzione alle problematiche del territorio, educazione soprattutto verso i più piccoli, ascolto di tutti, ricerca instancabile della pace: sono solo alcune delle conseguenze che l’aprire la porta per una Chiesa in uscita implica.
In tal modo si genera quella carità nella verità di cui parlava papa Benedetto, che è la “principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. L’amore «caritas» è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace.”
Non è facile né immediato tradurre tutto questo in scelte architettoniche, artistiche o, ancor più, tecnologiche per un edificio-chiesa. Tuttavia credo non si possa progettare, riqualificare una struttura per il culto cristiano e cattolico senza confrontarsi con questi pensieri.
Sarà ancora necessario ideare dei luoghi che possano accogliere, custodire e a valorizzare le opere d’arte. Questa andrà pensata come una «chiesa con le porte aperte» per entrare e per uscire, per celebrare l’Eucaristia fonte e culmine, punto di partenza e di arrivo di tutta l’esperienza cristiana.