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Campane e campanili

Don Luca Franceschini, Direttore Ufficio Nazionale 
per i Beni Culturali e l’Edilizia di Culto della CEI 

Il nostro sguardo sui campanili è spesso superficiale facendoci cogliere il manufatto innanzitutto come una torre che svetta sopra le case o una propaggine della chiesa, quasi dovesse indicarne per i passanti la posizione. In realtà il campanile ha un significato e una funzione ben più importante; per indicare, ad esempio, l’attaccamento al proprio rione o paese parliamo di campanilismo. Le nostre case si raccolgono attorno alla torre campanaria creando un’identità e un legame affettivo che in qualche modo unisce le persone – talvolta contrapponendole ad altri “campanili” – portando a fare squadra e, di conseguenza, a tifare per i propri colori. 

Addirittura dovremmo pensare al campanile come ad uno strumento musicale, costruito – o riadattato se era una torre preesistente – per produrre suoni attraverso le campane in esso collocate. Il suono delle campane ne determina la struttura: deve essere alto perché il suono giunga lontano, deve essere proporzionato in funzione dei bronzi che vi saranno collocati, del loro numero, del loro peso e soprattutto della tipologia di movimento che verrà usato per la loro oscillazione. Molte più sollecitazioni, infatti, dovrà sopportare se le campane suoneranno a slancio; più delicato sarà il carico se le campane avranno le grandi ruote che ne rendono più lenta l’oscillazione e meno potente lo strappo durante la loro corsa. 

Nella storia il suono delle campane ha accompagnato la quotidianità con l’invito alla preghiera nell’ora dell’Angelus, avvertendo che sarebbero state chiuse le porte della città al tramonto del sole, che il prete era uscito di chiesa per portare i sacramenti ad un moribondo o che all’altare avveniva la Consacrazione o veniva impartita la benedizione con l’Eucaristia. Le loro note annunciavano i momenti di festa o la morte dei parrocchiani; veloci rintoccavano per avvertire della tempesta, degli incendi, dei ladri. “Campane a martello” suonano nel racconto dei Promessi Sposi quando nella notte si richiama la gente in soccorso di don Abbondio mentre le donne si chiedono spaventate: “fuoco? ladri? banditi?”. Nel suo famoso dipinto “l’Angelus” Jean-François Millet ha immortalato il gesto dei contadini che si fermano dal loro lavoro per raccogliersi in preghiera al suono dell’ “Ave Maria”. 

Le campane per secoli hanno scandito il tempo, invitato alla preghiera, accompagnato ogni momento della vita quotidiana, annunciato i momenti del culto, riempito i cuori dei fedeli. Dai grandi concerti del nord Italia composti di molte campane, alla campanella del piccolo oratorio, dal rintocco “a distesa” a quello “a martello” il loro suono, sempre, racconta una storia. È la storia di una comunità che celebra e narra con il suono la sua fede, ma anche la storia incisa sul bronzo al momento della fusione per ricordare eventi o persone, santi e patroni, affidando al rintocco questo compito: rendere presente nel tempo ciò che una volta per tutte, come si fa su una lapide di pietra, fu affidato ai posteri. 

Abbiamo, così, campane fuse per ricordare i caduti in battaglia, per commemorare la fine della peste, per una grazia ricevuta o in onore del Santo Patrono; campane fuse per fare cannoni in tempo di guerra e cannoni fusi per fare campane in tempo di pace. 

A questa percezione di quotidiano accompagnamento ha fatto seguito, nel tempo, una certa indolenza verso le campane che disturbano il sonno delle persone che non ne comprendono più il messaggio; talvolta neppure chi frequenta la chiesa decodifica il linguaggio antico della tradizione campanaria. 

Al disturbo percepito e alle lamentele di chi è infastidito dai rintocchi, fino ad oggi si è risposto “a norma di legge”: il Concordato, quarant’anni fa rinnovato, consente alla Chiesa cattolica di suonare le campane per l’esercizio del proprio culto e il suono delle campane, benché superi i decibel stabiliti dalla legge, va in deroga purché si rispettino le norme date dall’Ordinario diocesano. 

Ritengo questa visione troppo riduttiva per un patrimonio così importante. Fortunatamente sta emergendo una sensibilità nuova che rilegge le campane come bene culturale, patrimonio anche intangibile e immateriale dato dal suono, diverso da zona a zona con tradizioni campanarie uniche che rischiano di scomparire per sempre

Non solo, dunque, sono importanti i campanili e le campane, ma anche il loro suono e la loro lettura d’insieme. 

Ovviamente l’argomento è complesso ma ho scoperto con gioia questa attenzione rinnovata in molti giovani appassionati di campanologia che, con competenza e impegno, studiano le tradizioni, conoscono le fonderie e le manovalanze, chiedono la tutela di un patrimonio che molti avrebbero pensato fosse solo un disturbo sonoro. Si tratta invece di un patrimonio del territorio, che fa parte del paesaggio e richiede conoscenza e cura altrettanta quanta ne richiedono le vecchie torri per il loro consolidamento e restauro; strumenti musicali lanciati verso il cielo nell’ardito compito di sfidare la statica e supportare il dondolio, per niente delicato, di antichi bronzi sonori. 

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