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Adeguamento Liturgico: conservare o rinnovare?

Dall’esperienza dell’adeguamento liturgico della Cattedrale di Alba. Testimonianza di Don Francesco Mollo 

intervista a cura di arch. Caterina Parrello, direttore editoriale Chiesa Oggi

Don Mollo d. Francesco, (classe 1964), presbitero della diocesi di Alba, parroco e direttore dell’Ufficio liturgico diocesano. Licenza in Liturgia, con una tesi su: Adeguare una cattedrale. Il perché e il come dell’adeguamento liturgico della cattedrale di San Lorenzo in Alba. È stato delegato diocesano per la nuova edilizia di culto. 

La storia della Chiesa e della Liturgia è caratterizzata dal modificare se stessa per rispondere alle mutate condizioni del popolo credente. Bisogna quindi dimostrarsi capaci di tutelare la memoria ma di saper trovare un linguaggio contemporaneo. 

1) Conservare o rinnovare? 

Quando si mette mano ad un edificio sacro, come una chiesa o una cattedrale, sempre ricche di storia, di rilevanza culturale e ecclesiale, fin da subito ci si scontra con un dilemma: mantenere e restaurare il passato riducendo al minimo il proprio intervento? O intervenire trasformando con esiti inediti? 

La storia della liturgia ha entrambe le soluzioni: luoghi conservati per secoli senza modifiche e luoghi trasformati continuamente.

È successo anche per la storia quasi bimillenaria della Cattedrale di Alba. L’indagine archeologica di quindici anni fa e gli studi che ne sono seguiti hanno portato alla luce con sorpresa che quasi ogni duecento anni si metteva mano alla cattedrale albese, rinnovandone ora l’ampiezza, ora la lunghezza, ora incrementandola con spazi nuovi estranei alla struttura, ora variando nell’edificio stesso l’ubicazione dei luoghi liturgici e degli spazi celebrativi.

Che cosa fare? Un museo o un luogo di preghiera? Per mons. Sebastiano Dho (vescovo di Alba dal 1993 al 2010) la soluzione era chiara: conservare l’edificio nella sua struttura, ma inserire i luoghi liturgici in un diverso contesto, per promuovere la partecipazione attiva, secondo le esigenze della liturgia post-conciliare. 

2) Quali sono i criteri per intervenire in ambienti monumentali spesso di grande importanza storica e artistica? 

Un primo criterio è certamente la liturgia che si celebra in quel luogo. Essa è la ragion d’essere di chiese e cattedrali: esse sono nate intorno ad una specifica azione liturgica, luoghi creati per celebrare la fede. Una concreta verifica della celebrabilità della liturgia postconciliare potrebbe far scoprire che il luogo monumentale costruito intorno al precedente rito tridentino non sia più adeguato per quello post-conciliare, anzi lo impoverisca, lo impedisca, lo deformi. 

Poi l’assemblea. Quella che concretamente si raduna in quella cattedrale con il proprio vescovo, che lo sente come luogo di fede e di incontro con il Signore. L’architettura deve evitare distanze e separazioni e favorire la partecipazione attiva dell’assemblea (SC 41). 

La conservazione del bene è un altro criterio. Non si possono depredare selvaggiamente beni storico-artistici in nome del cambiamento. Inserire poli per la liturgia o rivedere spazi celebrativi, in edifici di culto storici, richiede di verificare la congruità con il bene architettonico-artistico. 

E poi il conservare non solamente perché storico, ma effettivamente legato alla fede e alla tradizione religiosa dei fedeli potrebbe evitare di avere una chiesa-museo, e favorire la dismissione di spazi, ambienti, immagini, oggetti non più significativi. 

L’intervento di adeguamento liturgico attuato nella Cattedrale di Alba nel 2008, a seguito del concorso bandito dalla diocesi nel 2007, consiste nella creazione ex novo del “cuore celebrativo” della Cattedrale, distinto rispetto a quello precedente, di impostazione tridentina, che viene integralmente conservato. 
Il progetto vincitore è del gruppo composto dall’arch. Massimiliano Valdinoci. 

3) Alla luce dell’esperienza vissuta durante il concorso per l’adeguamento liturgico della Cattedrale di Alba, quali sono le criticità che ritiene siano state superate? 

La finalità principale di un adeguamento liturgico è quello di offrire alla comunità diocesana un luogo adatto per celebrare meglio la liturgia post-conciliare. Nel nuovo presbiterio di Alba si celebrano i vari riti della vita diocesana, come si sono tenute addirittura più ordinazioni episcopali. Molti ricordano come il nostro attuale vescovo, Mons. Marco Brunetti, ordinato proprio lì (2016), abbia più volte detto che «Qui si celebra bene!». Egli notava come, durante la preghiera eucaristica, sia possibile avere intorno tutti i presbiteri, che circondando l’altare concelebrano insieme. È certo che l’intensità di una visibile comunione nella preghiera eucaristica era impensabile sul vecchio presbiterio. 

I luoghi del nuovo presbiterio permettono che la cattedra, l’altare e l’ambone, non siano distanti, ma inseriti nell’assemblea che celebra. «Il vescovo non è lontano, ma vicino a noi – qualcuno dice – ed in mezzo ai suoi preti». 

La realizzazione dei tre luoghi liturgici, in una sequenza di marmi policromi nelle tonalità delle pitture interne dell’edificio, ha permesso un loro inserimento senza contrasti nel contesto della cattedrale. 

La loro conformazione più geometrica e contemporanea ha evitato la tentazione di copiare e riproporre forme storicamente datate. 

Il nuovo presbiterio, posato con i suoi tre poli liturgici (altare, ambone, cattedra) nella navata centrale, non ha intaccato la struttura architettonica della cattedrale, ancora completamente leggibile, ed ha recuperato anche le cappelle del transetto, come polmone di espansione per un’assemblea più numerosa. 

Il luogo del nuovo presbitero coincide storicamente – secondo gli scavi archeologici – con la dislocazione del presbiterio del XII secolo e il nuovo ambone monumentale sorge perpendicolare all’area dell’ambone alto-medioevale. 

4) Ritiene sia importante superare le situazioni, molto diffuse nelle chiese italiane, della “provvisorietà” degli interventi fino ad oggi realizzati, scegliendo invece la strada di un linguaggio artistico contemporaneo? 

La Cattedrale di San Lorenzo ad Alba dopo l’intervento di adeguamento liturgico del 2008 

Dopo 60 anni, la riforma liturgica sembra che in alcune chiese non sia ancora arrivata. L’azione liturgica continua a inserirsi acriticamente negli spazi precedenti, senza aver modificato nulla. Non ci sono altari fissi, ma solo oggetti recuperati da contesti in disuso; non esistono amboni dignitosi, ma solo leggii esigui e reperiti da differenti destinazioni; non c’è attenzione all’assemblea a cui viene concesso unicamente “il sentire messa”. Si è sottovalutata la forza trasformante della liturgia del Vaticano II. Essa richiede un serio lavoro di riprogettazione delle sue azioni in uno spazio rinnovato. 

È questo il momento in cui occorre iniziare a progettare, a ricreare un luogo liturgico. 

Ci sono fedeli che trovano difficile “comprendere” il linguaggio artistico contemporaneo e temono che trovarlo in chiesa li allontani. Però se entri nelle loro case, trovi che le giovani famiglie non arredano con mobili antichi, di pregio storico, come per allestire un’antica dimora, perché si troverebbero a disagio, ma hanno preferito lo stile contemporaneo più adatto, più familiare, più vicino alla loro vita. 

Perché in chiesa non abbiamo ancora questo coraggio della contemporaneità? 

Ci rifugiamo nelle forme architettoniche del passato, ritenendo che siano le uniche capaci di veicolare la dimensione sacrale del luogo di culto. Ripetere o mantenere il passato (artistico e liturgico) sembra più rassicurante, ma ci riporta indietro, ci impedisce di vivere l’oggi, di camminare in mezzo agli uomini. 

Si tratta quindi di chiedere agli artisti di mettersi al lavoro, di frequentare le nostre forme religiose, di entrare nel mondo della fede, di offrire anche oggi il loro contributo artistico alla liturgia e alla celebrazione cristiana. 

Perché con l’arte di oggi è certamente possibile celebrare le meraviglie del Signore

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