Mons. Paweł Malecha
In materia di contratti il codice di diritto canonico, al can. 1290, rinvia alle norme di diritto civile vigenti in ciascun Paese, tranne che «siano contrarie al diritto divino o che il diritto canonico disponga diversamente».
Tale fenomeno del rinvio alla legge civile o della sua canonizzazione è in realtà sempre esistito nella vita della Chiesa, soprattutto in riferimento ai beni temporali, perché si tratta di materia oggetto di minuziose disposizioni da parte degli ordinamenti civili, le quali cambiano da Paese a Paese.
Si tratta anche di settore, in cui lo Stato non riconosce facilmente la competenza della Chiesa.
Pertanto, in Italia è stata recepita nell’ordinamento canonico, con i limiti indicati al can. 1290, la nozione di contratto così come definita nel codice civile italiano.
I contratti stessi possono assumere diverse forme, come per esempio l’alienazione, il comodato, il mutuo, la locazione, la sponsorizzazione, ecc.
Ma è tutelato in modo particolare soltanto il contratto di alienazione; ciò avviene principalmente per due motivi:
1) gli interventi della legislazione canonica sui beni temporali hanno avuto da sempre come finalità la regolamentazione degli atti di alienazione, affinché tali beni non ritornassero all’uso profano (c.d. concetto di inalienabilità dei beni ecclesiastici) e 2) la preoccupazione che il patrimonio della Chiesa non venisse ridotto ad nihilum.
Va ricordato – in riferimento ai miei precedenti interventi su Chiesa oggi – che gli atti di alienazione riguardano solo quelli che hanno come oggetto i beni ecclesiastici assegnati legittimamente al patrimonio stabile e il cui valore superi la somma fissata dal diritto (cf. can. 1291).
Per questi atti si richiede – per la validità – la licenza dell’autorità competente.
Il legislatore canonico prevede un rimedio per le alienazioni civilmente valide, ma invalide per omissione delle debite formalità canoniche.
Infatti, il codice di diritto canonico, al can. 1296, prende in considerazione tale eventualità, considerando un’azione personale o reale per recuperare i beni alienati invalidamente dal punto di vista canonico.
In effetti, non si esclude la possibilità di annullare civilmente il contratto di alienazione posto in essere senza le dovute solennità canoniche.
Nulla, invece, si prevede per gli atti di amministrazione che siano validi civilmente, ma invalidi canonicamente e nulla si contempla per contratti diversi dall’alienazione.
Per quanto riguarda l’Italia, va messo in evidenza che, con l’art. 7.5 dell’Accordo del 18 febbraio 1984 di revisione del Concordato Lateranense, lo Stato italiano ha riconosciuto che «l’amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico».
Non vi è quindi dubbio che l’ordinamento giuridico italiano dia rilevanza a tali controlli.
Oltre a ciò, all’art. 18 della legge del 20 maggio 1985, n. 222, intitolata Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi, viene stabilito che «ai fini dell’invalidità o inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici non possono essere opposte a terzi, che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l’omissione di controlli canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche».
Questa è evidentemente una normativa speciale che viene richiamata dal codice civile all’art. 831, con il quale si dispone che i beni degli enti ecclesiastici sono assoggettati alle norme dello stesso codice, in quanto non diversamente disposto dalle leggi che li riguardano.
In conclusione, va ribadito che l’alienazione dei beni ecclesiastici, se priva delle necessarie formalità canoniche, è da ritenersi invalida per il diritto canonico e annullabile per il diritto civile.
Va infine precisato che l’annullabilità civile concerne soltanto gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e iscritti nel registro delle persone giuridiche.
L’annullamento del negozio giuridico, tuttavia, non avviene automaticamente, ma dietro una specifica richiesta di parte, presentata entro il termine stabilito dalla legge (cf. art. 1442 del codice civile).