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Cambia tutto? Preludio di un nuovo inizio

Una riflessione attenta e puntuale rivolta ai bisogni della società e alla sfida da affrontare come professionisti per una progettazione di qualità di tutti gli spazi, pubblici e privati

Sebastiano Raneri, progettista e interior designer

Un’ardua sfida, quella lanciata agli urbanisti, architetti e designer, professionisti costretti, un po’ dallo scorrere del tempo, un po’ dalla pandemia, a ripensare gli spazi su cui gravano gli oppressivi impatti della quarantena.

Se da un lato è vero che il tempo scorre inesorabilmente, dall’altro sarà anche vero, con le parole di Seneca, “che il tempo scopre la verità”; che sia stato aiutato dall’avvento di questa pandemia è solo un dato di fatto.

Il punto è: cosa ha scoperto? cos’è che un accadimento così nefasto ha portato alla luce? La necessità, l’obbligatorietà, di ripensare gli spazi, dalla scala domestica a quella urbana. Stiamo vivendo una situazione nuova, anomala e catastrofica. La nostra vita sta cambiando, dal punto di vista personale, sociale, professionale, tutto si sta rimettendo in discussione.

Oggi la casa inizia ad essere riscoperta perchè non vissuta semplicemente come punto di passaggio, di sosta e di partenza, bensì stiamo iniziando a “gustare” l’ambiente dell’abitazione. Allo stesso modo vengono a galla una serie di dinamiche spesso trascurate: la reclusione forzata ha messo a dura prova intere famiglie, molte delle quali si sono ritrovate a vivere spazi abitativi che si sono rivelati un po’ troppo ristretti.

Dati Istat ed Eurostat dimostrano come, in Italia, quasi un terzo delle famiglie, che per lo più si compongono di quattro persone, abita spazi troppo ristretti, massimo 80 mq. Alle problematiche questioni sullo spazio si aggiungono quelle strutturali come, ad esempio, la mancanza di terrazzi o balconi, (che oggi avrebbero potuto costituire dei vitali giardini pensili), non certamente soluzione ma in molti casi una boccata d’ossigeno; prendiamo, ancora, il grigio concepimento di questi come dei semplici contenitori nei condomini o il più gravoso problema dei metodi di riscaldamento e della stessa mancanza di questi in tante, forse troppe abitazioni… non possiamo che trarre un quadro architettonico non proprio felice.

Questi numeri non sono altro che il risultato della mancanza di attenzione e di sensibilità da parte dei progettisti negli ultimi 50 anni. Una parte dell’Europa, compresa l’Italia, si trova a non aver avuto il coraggio e l’interesse nel rivedere determinati parametri, come quelli di edilizia popolare e convenzionale, i quali non vengono modificati da decenni.

La nostra categoria professionale non ha tenuto conto, insomma, che il modo di abitare è cambiato, sta cambiando e cambierà ancora. Nell’ampio panorama, fatto di nuove tecnologie, da cui siamo stati attratti e di cui ci siamo certamente serviti, non sono state contemplate molte esigenze dell’individuo singolo. Incertezza e perplessità non interessano, però, solo gli ambienti che racchiudono il focolare domestico.

Anche gli spazi pubblici, i luoghi di culto, le attività commerciali, maggiormente turismo e food, nervi principali del sostentamento italiano, devono scrollarsi di dosso degli abiti ormai dismessi e stare al passo coi tempi.

Fra i luoghi che necessitano una maggiore cura possibile che, però, non snaturi la loro destinazione, ci sono certamente i luoghi di culto, di cui il nostro Paese conserva un patrimonio consistente. Nell’adeguare l’architettura o semplicemente la fruizione degli stessi è necessario intervenire nel rispetto delle norme e degli spazi cercando di non turbare ulteriormente un settore già messo a dura prova dalle novità portate dalla pandemia.

Sappiamo che, in ogni caso, l’architettura di luoghi comuni va rivista e riadattata, ma bisogna prendere atto del fatto che ci vuole coraggio per guardare in faccia il cambiamento, che di per sè è modifica di abitudini, di percezioni, stati e relazioni.

La vera vittoria, se ci sarà, starà nell’accettare e nel favorire i cambiamenti positivi che possano mettere la parola fine ai malesseri generati dalle cattive abitudini e dalla cattiva condotta. Siamo ancora in tempo per fermare, ad esempio, lo sterminio dei più deboli; mi riferisco agli anziani, classe che viene spesso e volentieri declassata, che non viene seguita e accudita.

Vanno ripensati gli spazi dedicati alla terza età e alla sue esigenze, vanno ripensate le priorità per non commettere l’errore di concorrere alla perdita di una parte della nostra storia, senza la quale è difficile pensare di avere un futuro. Siamo, quindi, ancora in tempo per fermarci e ripartire.

La nostra professione è spesso vista come la punta di diamante, elemento chiave, che possa dare il là a questa partenza, per superare ostacoli e problematiche. Anche se onorati dobbiamo riconoscere che, però, il compito finale, che possa finalmente aprire le porte al cambiamento, spetta ad altre categorie professionali.

Mi riferisco agli operatori in ambito socio sanitario e a tutte le figure che hanno a che fare in prima persona con le categorie più deboli. Dov’è il rispetto? Dov’è l’umanità? Spesso ci dimentichiamo che la terapia è la persona e che bisogna ritrovare un modello positivo di assistenza. Mi chiedo, adesso, quanti sono i professionisti che intendono davvero accettare questa sfida?

Per decenni parte della mia classe progettuale non ha avuto la forza di umanizzare la propria professione, guardando piuttosto al profitto (conseguenza semmai ultima e finale di questo processo lavorativo).
Noi architetti e designer siamo studenti e figli, spesso stolti, di una globalizzazione che ci ha insegnato il nostro essere cittadini del mondo.

I confini del mondo che abitiamo, seguono sempre più la via della chiusura. Resto dell’idea che non bisogna, invece, parlare di confini se non geografici, altrimenti si rischia di perdere contatto con il prossimo, conseguenza che segnerebbe inevitabilmente l’estinzione della sensibilità umana.

Per questo dobbiamo studiare ed attuare, seguendo il richiamo al dovere e alle proprie responsabilità. E’ arrivato il momento di sviluppare grandi idee attenzionando i piccoli particolari di tutti gli spazi, pubblici e privati.

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