Curare la casa comune, costruendo progetti di comunità con il patrimonio abbandonato
Non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella politica, ma in seno alla società fiorisce una innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. Per esempio, si preoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dall’indifferenza consumistica. Questo vuol dire anche coltivare un’identità comune, una storia che si conserva e si trasmette. In tal modo ci si prende cura del mondo e della qualià della vita dei più poveri, con un senso di solidarietà che è allo stesso tempo consapevolezza di abitare una casa comune che Dio ci ha affidato. Queste azioni comunitarie, quando esprimono un amore che si dona, possono trasformarsi in intense esperienze spirituali.
punto 232, cap. 5, paragrafo 5
Lettera enciclica Laudato si’ del Santo padre Francesco sulla cura della casa comune.
Persone senza spazi e spazi senza persone
Il nostro Paese è passato, nel giro di pochi anni, da un’Italia formata da persone senza spazi, ad una realtà di spazi senza più persone (1), mentre si continua a costruire con la velocità di consumo del suolo di 8 metri al secondo.L’urbanizzazione è cresciuta tra il Dopoguerra ed il 2000 del 400%, mentre la popolazione del 27%.
La svalutazione dei beni immobiliari proprio per questo incremento di offerta sul mercato (che ne provoca un calo dei prezzi), ha causato una crisi di“sovra produzione”, che – come negli Usa ed in Spagna – è stata l’origine di difficoltà ben più complessive nel sistema economico, innescando crisi non solo di fine ciclo, quanto piuttosto strutturali.
Non è un caso che questa fase perduri dal 2008 e che oggi il Paese si ritrovi un patrimonio di oltre sei milioni di beni inutilizzati o sottoutilizzati (significa più di due volte la città di Roma vuota), tra abitazioni (5 milioni) ed altri immobili pubblici, parapubblici e privati, come ex fabbriche e capannoni industriali dismessi, ex-scuole, asili, oratori e opere ecclesiastiche chiuse, cinema e teatri vuoti, monasteri abbandonati, spazi di proprietà delle società di Mutuo Soccorso e delle cooperative Case del Popolo, Cantine sociali, colonie, spazi comunali chiusi (sedi di quartiere, ospedali, Scuole ed altri spazi di proprietà quali lasciti), stazioni impresenziate, Case cantoniere non utilizzate, beni confiscati alla mafia, “paesi fantasma”.
E la lista dell’Italia lasciata andare a se stessa sarebbe ancora lunghissima.
(1) Giovanni Campagnoli con postfazione di Roberto Tognetti, Da spazi vuoti a start up culturali/sociali giovanili. “Riusiamo l’Italia”, Il Sole 24 Ore, Collana Studi, Milano, 2014.
Mirabili spunti da “Laudato Sì”
Anche i beni ecclesiastici non sfuggono a questo problema dell’abbandono, del dismesso, del sottoutilizzato, dello sfitto, o peggio dell’inesorabile processo di devastazione che trasforma chiese e conventi prima in edifici fantasma e poi in ruderi.
Quanto valore perso o minacciato da questo fenomeno? Quante occasioni sfumate in termini di lavoro, speranza, futuro? Quale perdita di senso, di memoria, di cultura nella progressiva scomparsa di frammenti della nostra storia di comunità, di fedi, di relazioni tra persone, tra storie di vita e di lavoro?
È giunto il momento di cambiare rotta: la Lettera Enciclica “Laudato Sì” del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune ce ne dà l’orizzonte, il fine, il messaggio profondo.
Se il riuso e la rigenerazione urbana corrono in generale il rischio di non essere immediatamente associati alle grandi politiche per la sostenibilità del pianeta e la lotta al cambiamento climatico, nell’Enciclica invece non mancano gli spunti di centralità di queste tematiche.
In particolare emerge la questione dei Beni Comuni come espressione di riconoscimento dell’azione di comunità, o meglio di come costruire e ricostruire comunità. Oltre alla bellissima citazione di apertura ecco altri passaggi straordinariamente lucidi su questi argomenti.
Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare.
Affrontare tale questione sarebbe un modo di contrastare la cultura dello scarto che finisce per danneggiare il pianeta intero, ma osserviamo che i progressi in questa direzione sono ancora molto scarsi. §22. Inquinamento, rifiuti e cultura dello scarto.
La nozione di bene comune coinvolge anche le generazioni future. (…). Ormai non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni. Quando pensiamo alla situazione in cui si lascia il pianeta alle future generazioni, entriamo in un’altra logica, quella del dono gratuito che riceviamo e comunichiamo. Se la terra ci è donata, non possiamo più pensare soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno. §159. La giustizia tra generazioni.
Se teniamo conto della complessità della crisi ecologica e delle sue molteplici cause, dovremmo riconoscere che le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. È necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte e alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità.
Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riparare tutto ciò che abbiamo di-strutto, allora nessun ramo delle scienze e nes-suna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio. §63. La luce che la fede offre.
La grande opportunità di trasformare gli spazi in “Luoghi di comunità”
Qui si intende illustrare brevemente cosa si potrebbe fare valorizzando il vasto patrimonio sottoutilizzato o abbandonato della Chiesa e dei vari Enti religiosi presenti sul territorio nazionale. Si tratta certamente di un modo per interpretare il Vangelo nelle temperie del contemporaneo, così come un’occasione per rinnovare coi fatti la Dottrina Sociale della Chiesa.
Di quali beni siamo parlando? Il repertorio è molto ampio: terreni incolti, boschi, foreste o praterie sottouti-lizzate, chiese abbandonate, seminari, convitti, collegi, co-lonie sottoutilizzate, case parrocchiali, conventi, abbazie, case vacanza, santuari, ostelli dei pellegrini, complessi de-vozionali, ecc.
Di fronte a queste aggregazioni di beni abbandonati le forme e le tipologie del riuso possono assumere diverse dimensioni: la vocazione dipende molto dalla comunità di progetto che se ne prende cura, dalla mission originaria del luogo, dai vincoli strutturali / ambientali, dalle “forze” in campo, dal livello di innovazione introdotta, dal territorio e dai suoi personaggi di spicco. ecc.
Il fenomeno del riuso temporaneo e/o creativo, specialmente in Italia, è una pratica recente e viene intrinsecamente connotata da caratteristiche di processualità, se non di precarietà e provvisorietà, spesso nelle sue forme più spiccatamente adattive o tentative.
Una caratteristica pressochè costante dei casi già realizzati è certamente la complessità di usi e visioni che vengono riservati ai luoghi e agli spazi di rinascita civica o collettiva del medesimi. Usi e visioni che vanno a formare dei mix funzionali specifici e distintivi, tali per cui, ogni caso si presenta come unico e originale, rendendo così oltremodo difficile l’attribuzione di etichette o categorie distintive.
È anche per questo motivo che con la recente costituzione della FONDAZIONE RIUSIAMO L’ITALIA, sono stati rafforzati alcuni strumenti e metodi per supportare azioni di valorizzazione dei patrimoni dismessi o sottoutilizzati. Le particolarità del questo approccio sono sostanzialmente tre:
- 1- operare dal “lato della domanda”, ovvero met-tendo al centro dei processi le persone e le loro co-munità;
- 2- massima attenzione per l’“effetto leva” in grado di restituire generatività ai processi di valorizzazione, con particolare riguardo all’occupabilità giovanile;
- 3- pari attenzione ad ogni tipo di contesti, sia che si tratti di area metropolitana che di territori marginali e/o aree interne dove sviluppare reti aperte a nuove relazioni con altre aree o centri di competenza.
Dopo aver tanto osservato casi reali di riuso e soprat-tutto dopo avere attuato analisi complesse su alcuni casi sufficientemente bilanciati tra affinità del fabbisogno e specificità di contesto, è stato possibile definire un primo test sul profilo performativo / comparativo del riuso temporaneo applicato a tre casi studio di “Residenza complementare di comunità”: un nuovo concept per gli spazi abbandonati di qualità.“Residenza complementare di comunità”, quand’anche non sia in senso stretto un ambiente domestico, è così un concept per gli spazi abbandonati di qualità che devono tornare a rivivere ed è al tempo stesso un modo nuovo per“costruire capitale sociale” e come tale in grado di acquisire lo status di ambiente domestico in senso sia comunitario che come estensione ideale dell’esperienza –anche indi-viduale: dell’abitare relazionale.
Come si fa a costruire comunità attraverso gli “spazi” che tornano a essere “luoghi”? Le risposte posso essere infinite e i casi sperimentati o in corso di sperimentazione sono numerosi. Certo è che se si vuole seriamente provare ad interpretare questo tipo di sfida ci si può con piena fiducia ispirare agli approcci descritti nell’ultimo capitolo dell’enciclica “Lau-dato Sì”, quando il pontefice suggerisce alcune ri-flessioni per “riorientare la propria rotta”, per cambiare quell’umanità a cui manca «..la co-scienza di un’origine comune, di una mutua ap-partenenza e di un futuro condiviso da tutti». Per questo motivo è necessaria un’educazione ed una spiritualità ecologica, per lo «…sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita».
Può essere un esempio lo studio di fattibilità dell’edificio ex “Oratorio della Parrocchia SS. Filippo e Giacomo” a Finale Emilia, che fa riferimento allo sviluppo di metodologie integrate tra l’attuazione di politiche giovanili per l’occupabilità e la generatività dei processi e i rispettivi contesti spaziali di riferimento. Tale approccio è stato applicato con successo in varie situazioni urbane e territoriali attraverso esperienze professionali molto orientate ad integrare contenuto e contenitore con formule aperte e innovative. Esso rappresenta la messa in pratica di quanto descritto nel libro “Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start up culturali e sociali” (autore Giovanni Campagnoli con postfazione di Roberto Tognetti, Gruppo 24 Ore, 2014). Attraverso i contenuti presenti del sito www.riusiamolitalia.it, della pagina https://www.fa-cebook.com/Riusiamolitalia e soprattutto attraverso la PIATTAFORMA RIUSIAMO L’ITALIA http://www.mappa.riusiamolitalia.it/ è possibile promuovere progetti di rigenerazione partendo dal basso e spesso per iniziativa di comunità giovanili.
“MovieMenti. La ‘Casa complementare di comunità’ per il centro storico di Finale Emilia”
Il progetto (2) denominato “MovieMenti. La ‘Casa complementare di comunità’ per il centro storico di Finale Emilia” prevede il rilancio del vecchio cinema parrocchiale come nuovo presidio di offerta cinematografica per tutta la comunità locale e come centro di competenza nei settori dell’audiovisivo, soprattutto a beneficio dei talenti e delle aspirazioni dei giovani.
Esso ha già ottenuto un importante riconoscimento da parte della Fondazione CRM attraverso un primo finanziamento dedicato di 170 mila euro, cui si sono recentemente aggiunti 150 mila euro della Regione E.R. in base al Decreto legge 74/2012 e Ordinanza commissariale n. 2/2019 “Ripopolamento e rivitalizzazione dei centri storici nei comuni più colpiti dagli eventi sismici del 20-29 maggio 2012”.
Detto spazio viene così ripensato come aggregatore di competenze e di passioni partendo dalla rinascita del vecchio cinema parrocchiale come “leva” per la riabilitazione dell’intero complesso immobiliare dell’oratorio e quindi con l’obiettivo di farne un centro pulsante di innovazione e aggregazione, soprattutto per le nuove generazioni.
Tali premesse fanno dell’edificio “Oratorio della Parrocchia SS. Filippo e Giacomo” a Finale Emilia un caso perfetto per l’innesco di un processo di riuso creativo “dal basso” e come tale funzionale ad un più organico intervento di rigenerazione urbana sia dell’intero complesso architettonico di riferimento che delle porzioni di centro storico direttamente interconnesse.
Il lay out funzionale fornisce indirizzi strategici complessivi, rigoroso nei suoi fondamentali, ma flessibile nella conduzione e nella precisazione delle scelte di dettaglio e al tempo stesso adattabile alle occasioni che via, via si presenteranno per assicurarne una realizzazione per parti e per fasi differite. In particolare esso ricomprende anche indicazioni per affrontare l’intervento con approcci incrementali finalizzati ad abilitare progressivamente porzioni di edificio a scopo dimostrativo e generativo di nuovi processi di creazione di valore e di impatto sociale.
(2) Parrocchia SS. Filippo e Giacomo, Finale Emilia (MO): Progetto MovieMenti. La “Casa complementare di comu-nità” per il centro storico di Finale Emilia, 2019. Arch. Ro-berto Tognetti, con: Arch. Maria Moccaldo, Prof. Giovanni Campagnoli, Arch. Ivano Neri, Arch. Gabriele Procida.
Roberto Tognetti, Si laurea con lode presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano nel 1986 con Franca Helg. Nel 1987 segue il corso di specializzazione in ‘Museografia e Museologia’. Nel 2008 fonda il network “iperPIANO Ecosistema di soluzioni e innovazioni per il governo del territorio e della città”. Dal 2010 è presidente del Comitato d’Amore per Casa Bossi, che intorno al monumento antonelliano “Casa Bossi” di Novara ha promosso una delle più originali operazioni di rigenerazione di un edificio storico da parte di un gruppo di cittadini attivi. È coautore con Giovanni Campagnoli del libro “Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start up culturali e sociali” edito nel 2014 da Gruppo 24 Ore.
Giovanni Campagnoli, lavora in Hangar Piemonte, il programma di sostegno all’innovazione culturale della Regione. Preside e docente di economia dai Salesiani, bocconiano e autore di “Riusiamo l’Italia” (Gruppo 24 Ore), si occupa sempre di più di progetti di trasformazione/valorizzazione di spazi vuoti, in luoghi “non convenzionali” di incubazione di start up giovanili innovative, a vocazione creativa, sociale, culturale. E’ anche direttore della Rete informativa Politichegiovanili.it e su questi temi opera anche come consulente e formatore per Enti pubblici e organizzazioni no profit.