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Giornata Nazionale 2019. Dalla concessione di contributi a una visione integrata del patrimonio

Davide Dimodugno, dottorando di ricerca in Diritti e Istituzioni, Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Giurisprudenza

Tutela dei beni culturali ecclesiastici e nuova edilizia di culto: due ambiti che, a prima vista, sembrerebbero avere nulla in comune, in quanto uno proiettato al passato, l’altro rivolto al futuro.
Al contrario, la Giornata Nazionale 2019, organizzata dall’Ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici e l’Edilizia di Culto della Conferenza Episcopale Italiana a Viareggio il 17-18 giugno scorsi, ha dimostrato come i due temi siano, invece, strettamente connessi e correlati.

Da un punto di vista squisitamente normativo, se l’interesse per la tutela dei beni culturali della Chiesa nell’Italia postunitaria risale al 1924, con l’istituzione della Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia, le prime disposizioni in materia si rinvengono, nel 1939, in una lettera circolare della Sacra Congregazione del Concilio. Nel medesimo anno veniva promulgata la legge Bottai 1° giugno 1939, n. 1089, fondamentale normativa di tutela, rimasta in vigore sino al 1999 e i cui principi fondamentali restano, tuttora, sottesi al vigente codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Si evidenzia, in questo modo, una stretta correlazione tra le normative statali e quelle canoniche che continuerà anche negli anni seguenti, quando, nel 1974, saranno promulgate, ex parte Ecclesiae, le Norme per la tutela e la conservazione del patrimonio storico-artistico della Chiesa in Italia, mentre, ex parte Status, vi sarà istituzione, nel 1975, del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, in un mutato contesto, caratterizzato dal decentramento di funzioni amministrative in capo alle neonate Regioni.

Per quanto riguarda, invece, le norme pattizie, l’Accordo di Modificazione del Concordato, stipulato a Villa Madama il 18 febbraio 1984, sancisce all’art. 12 il fondamentale principio della collaborazione tra Stato e Chiesa per la tutela, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche, principio dal quale scaturiranno le successive intese del 1996, 2000 e 2005.

Altre importanti disposizioni canoniche in tema di beni culturali ecclesiastici si rinvengono negli Orientamenti CEI del 1992, mentre, sul fronte dei nuovi edifici di culto, si segnalano le due note pastorali della Commissione episcopale per la liturgia, dedicate, rispettivamente, nel 1993 e nel 1996, alla progettazione di nuove chiese e all’adeguamento liturgico di quelle esistenti.

Proprio con riguardo alla nuova edilizia di culto, sviluppatasi a partire dal dopoguerra, un momento di svolta si rinviene nel 1990, quando veniva istituita la Commissione per l’Edilizia di Culto, chiamata a valutare i progetti per l’assegnazione dei contributi derivanti dall’8 per mille dell’IRPEF, meccanismo di finanziamento alle confessioni religiose entrato in vigore proprio in quell’anno.

Negli anni seguenti, tra il 1999 e il 2000, la Commissione muta denominazione in Comitato, al quale vengono affiancati un Servizio Nazionale per l’Edilizia di Culto, competente a svolgere l’istruttoria preliminare, e una Consulta Nazionale, per lo svolgimento di attività di ricerca, studio e supporto alle decisioni.

A partire dal 1996, si rinviene un processo analogo con riguardo ai beni culturali ecclesiastici, mediante l’istituzione di un Ufficio Nazionale, deputato all’istruttoria preliminare, di una Commissione, poi divenuta Comitato per la valutazione dei progetti, e di una Consulta Nazionale.

Questo continuo ed incessante processo di modifiche normative che ha investito le Disposizioni e i Regolamenti attuativi della CEI negli ultimi trent’anni, anche per adeguarsi alla mutata legislazione statale di tutela, è consistito principalmente in una “novellazione per aggiunta”, ovvero in modificazioni aventi l’obiettivo precipuo di ampliare il novero degli interventi finanziabili.

Se in origine risultavano ammissibili a contributo soltanto i nuovi edifici di culto, le case canoniche e i locali di ministero pastorale, nel corso del tempo si sono aggiunte le strutture assimilate, le nuove opere d’arte, l’acquisto delle aree, la trasformazione sistematica e l’adeguamento liturgico di chiese esistenti.

Sul fronte degli interventi di tutela in favore dei beni culturali, invece, sono stati resi finanziabili gli interventi di inventariazione e censimento, i sistemi di sicurezza, i progetti e le iniziative relativi a musei, archivi e biblioteche, il restauro di organi a canne e di edifici.

Alla luce dello spettro sempre più ampio di richieste di intervento provenienti dalle diocesi, si è resa ancor più evidente la stretta correlazione tra i beni culturali ecclesiastici e la nuova edilizia di culto, quest’ultima destinata a rientrare a pieno titolo nel patrimonio culturale di interesse religioso del XX e del XXI secolo.

La volontà di perseguire una visione integrata del patrimonio ha trovato il proprio culmine nella decisione della CEI di istituire, nel 2016, un unico nuovo Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici e l’Edilizia di Culto, al quale spetta, oggi, l’esame preliminare delle pratiche di richiesta di contributo, da erogarsi nel rispetto delle nuove Disposizioni e del Regolamento applicativo, entrati in vigore nel 2018.

La valutazione dei progetti viene, invece, rimessa ad un unico Comitato, diviso in due sezioni, una per i beni culturali, l’altra per l’edilizia di culto, mentre permangono la Consulta Nazionale, con compiti di programmazione, di studio e consulenza e, a livello regionale, le figure degli Incaricati regionali per i beni culturali e l’edilizia di culto. L’obiettivo perseguito da questo nuovo corpus normativo risulta quello di semplificare le procedure, aumentare la trasparenza e mostrare plasticamente lo stretto rapporto intercorrente tra la tutela dei beni esistenti e la creazione del patrimonio futuro.

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