La Galleria Castello 925 +Plus Venezia nel suo percorso espositivo durante il 2024 avrà il tema ricorrente che accompagnerà le mostre:
“Catastrofe vs Cambiamento catastrofico”
La sfumatura apocalittica di questi termini scompare per recuperare il significato più puro e vero della parola “catastrofe” che è, dall’antica cultura greca, rivelazione, catarsi e consapevolezza.
La nostra Associazione per la XXXII Esposizione seguirà questo percorso declinandolo nel suo specifico indirizzo artistico e architettonico e lasciando ai partecipanti una ampia scelta interpretativa. L’Esposizione si terrà dal 1 luglio (giorno di alllestimento ) al 6 luglio con finissage.
Il 7 luglio saluti finali e disallestimento. Si ricorda che la Galleria è situata in prossimità della Biennale D’Arte che sarà in svolgimento nel periodo.
Fata Morgana, o del Ponte sullo Stretto di Messina
Giuseppe Arcidiacono
Non esistono foto di quel fenomeno che, a detta di molti, accade sullo Stretto; e chiamiamo Fata Morgana.
In passato c’è stato chi -come il domenicano Antonio Minasi 1– ne ha classificato i differenti tipi d’apparizione: Morgana Marina, Morgana Aerea, Morgana d’Iride Fregiata, come fossero i grani di un rosario, in grado di nominare ogni sfuggente visione per proporne una oggettiva rappresentazione. A questo fine, il Minasi si rivolgeva al vedutismo “scientifico” di Guglielmo Fortuyn che, tra le incisioni dello Stretto, commissionategli nel 1774 dal padre domenicano, inserì Il Prospetto di Reggio con la Vaga Veduta della Fata Morgana; dove il fenomeno non è stato ritratto in presa diretta, ma rielaborava, appunto, la dissertazione letteraria del Minasi medesimo, e veniva offerto all’ammirazione della Principessa di Caramanico: a segno che qui non si fanno bidoni a nessuno, tantomeno a una eccellentissima principessa; anche se nella “veduta”, Reggio si rispecchiava nell’acqua frantumata e moltiplicata in mirabili architetture, mai viste in terra ferma, per mischiarsi con Messina, in un polverone di castelli per aria. Ma – si dirà – nel XVIII secolo la fotografia non c’era; e ci si doveva accontentare di descrizioni e vedute, spesso di fantasia. Tuttavia, anche dopo le cose non sono cambiate, e nessuno è stato in grado di fornire una prova oggettiva (fotografica?) della Fata Morgana dello Stretto.
A questo punto, potremmo concludere che la Fata Morgana sembra essere solo una affabulazione, un risorgente racconto di paesaggio ideale, che diventa -ai nostri giorni- il risorgente racconto di una mirabilia: dove Messina e Reggio possono oggi mescolarsi, riflettersi, ricongiungersi grazie a un prodigio della Tecnica (moderna) che prende il nome di Ponte sullo Stretto. Questo del Ponte sullo Stretto molti lo ritengono l’ennesimo effetto di una nuova Fata Morgana: perché come quella appare e scompare, nei programmi di governo (restando un progetto “sospeso”, come s’addice ai ponti). Forse, dopotutto, è meglioche il Ponte sullo Stretto resti all’orizzonte, sospeso appunto nel mito in buona compagnia con Scilla e Cariddi. Almeno finché rimane “questo” ponte: cioè la copia di un ponte già fatto, già visto e rivisto, che trasformerebbe lo Stretto da luogo del mito a un luogo comune.
Infatti, se un Ponte ha da esserci tra Reggio e Messina, che almeno sia in grado di reggere il confronto col ponte “ad ali di libellula” di Sergio Musmeci, col ponte sorretto dai titanici moderni telamoni di Giuseppe Samonà, con quello prodigiosamente stabile sulle curve sghembe dell’andamento parabolico e visionario studiato da Pierluigi Nervi; invece, dal lontano Concorso del 1969, non si riscontra un avanzamento “progressivo”, né culturale, né tecnico, relativo a un Ponte sullo Stretto che aspiri a proporsi come progetto “del secolo” (se non addirittura del nuovo millennio).
Ci si aspettava, insomma, in tanti anni trascorsi dallo storico Concorso per il collegamento stabile viario e ferroviario fra la Sicilia e il Continente (1969), un “superamento disciplinare”, strutturale e tipologico: in cui le ragioni dell’evoluzione tecnica sapessero produrre una forma al servizio dello Stretto. Al contrario, il progetto definitivo che la Società Stretto di Messina ha presentato nel 2002 sembra regredire verso un ingegneristico ed ottimistico “ottocentismo”, che rispolvera l’immagine, consolatoria, di un ponte già consumato in qualche pubblicità. Questa immagine, che sollecita un facile consenso, dovrebbe almeno riscattare il suo carattere di déjà vu attraverso un primato tecnico-scientifico: col superare in un balzo i 3300 m. che separano Scilla e Cariddi; invece, ragioni di prudenza e di economia suggeriscono di avanzare i piloni in acqua 2, per ottenere una campata – più sicura, in quanto… già sperimentata col ponte Akashi in Giappone- di soli 2 km.
Ma, in questo caso, giungere a “più miti consigli” produce un allontanamento dal “luogo” del mito.
Sarebbe ora di prendere atto che l’eccellenza tecnica diventa sullo Stretto una questione simbolica; e che il Ponte non può esimersi di esprimere un progetto culturale, anziché limitarsi a (ri)produrre una soluzione costruttiva.
D’altra parte, con buona pace degli ambientalisti “No-Ponte”, bisogna anche dirsi che il mantenimento di un improbabile statu quo non significa automaticamente “salvare il paesaggio”, quando il territorio è “trasformazione”. Bisogna dirsi che lo Stretto può essere alterato da un brutto Ponte come dalle case abusive costruite nel frattempo sulle due sponde. Come chi incidit in Scyllam cupiens evitare Carybdim (il cartiglio ammonitore che troviamo al centro di una mappa del ‘600), oggi sventolare lo striscione “No-Ponte” non significa chiudere gli occhi sulle continue sanatorie elettorali che hanno legittimato la espansione di una lebbra che -come recita una poesia di Pasolini 3 – «allinea tempeste di caseggiati, / gore di lotti color bile o vomito, / senza senso, né di affanno né di pace». Occorre dare senso alle nostre azioni; ma se questo vale per i «pii possessori di lotti», vale a maggior ragione per le istituzioni che sostengono la imprescindibile necessità del Ponte.
Risuona tra i “detti memorabili” -ormai passati alla storia- quello di Loyola De Palacio, commissario UE ai trasporti nel 2004, che impavidamente affermò che il Ponte si sarebbe fatto «perché la Sicilia ha bisogno di sentirsi legata all’Europa»4: boutade tutta da ridere per un’isola che da Archimede a Pirandello ha fatto la storia del vecchio continente; se questo salvifico intendimento non facesse paventare un atteggiamento neo-colonialista col quale dal Mare del Nord si guarda il Mediterraneo.
E’ certo che questo gigantesco segno sullo Stretto ripropone l’intera Sicilia come un ponte tra l’Europa e l’Africa; ma la questione non può risolversi nella risposta tecnocratica a un invasivo progetto commerciale, che temiamo sia utile a dragare più velocemente Oltralpe le ricchezze del Continente Nero, o a scaricare la spazzatura dei paesi industrializzati verso Sud. Se è così, l’asse trans-europeo Berlino-Palermo non ci piace. Vogliamo, al posto suo, un asse Palermo-Berlino: un ponte che -se ha da essere- sia costruito attraverso un progetto condiviso ed inscritto dentro i luoghi che è chiamato a modificare. Per questo, è necessaria una conversione del progetto culturale, che a tutt’oggi, nel migliore dei casi, è ancora quello del sogno carolingio di affacciare il Grande Nord sul Mediterraneo.
Noi chiediamo che questo progetto diventi quello del grande Federico II, del “nostro” Federico: un progetto per la rinascenza del Sud; il progetto di un ritrovato stupor mundi, dove il progresso sappia mettersi in relazione col passato e con l’identità dei luoghi, e stratificarsi su di essi ed attraverso il loro ascolto. Forse allora non ci sarà bisogno di un Ponte “miracoloso”; ma di azioni mirate e sostenibili di riforma del territorio, di una tutela continua del paesaggio, di manutenzioni e non di inaugurazioni ad uso e consumo del politico di turno. Allora, probabilmente, Reggio con Messina sapranno presentarsi con un progetto dove le architetture antiche e nuove siano in grado di segnare luoghi e tempi di un ordine parziale, dentro lo scorrere continuo e continuato del tempo; dove i frammenti scomposti del (nel) nostro territorio possano mettersi in circolo, a costruire un mosaico di tessere che ricompongono il paesaggio, in un disegno di Fata Morgana.
Note.
1. Su Minasi e la sua Dissertazione sopra il fenomeno volgarmente detto Fata Morgana, Roma 1773, si rimanda a M. Séstito, Il Gorgo e la Rocca, Giuditta, Catanzaro, 1995, pp. 33-42 e 97-121.
2. La riduzione della campata del Ponte è stata presentata dal prof. ing. R. Calzona, durante la conferenza su L’attraversamento dello Stretto, del 23.09.08, presso la facoltà di Architettura di Reggio C.
3. P. P. Pasolini, La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1976, p. 96.
4. Da una conferenza stampa di L. De Palacio, riportata sul quotidiano “La Sicilia” del 06.05.04, p. 10.